I sincacati sono i promotori della giustizia sociale, per i diritti degli uomini del lavoro, nelle loro specifiche professioni. La lotta per i diritti è un normale adoperarsi per il giusto bene; non è una lotta contro gli altri(cfr. Giovanni Paolo II Laborem Exercens, 20)
I sindacati sono promotori della lotta per la giustizia sociale!


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“Il Metodo attraverso lo specchio”, intervista alla prof.ssa Giulia Isgrò : a cura di M. Pompei.
Cogestione e Scuola aperta: a cura di F. Sica
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IN QUESTO NUMERO
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Anno II - n. 5 - maggio 2021 Pubblicato su www.magglance.com/uilscuolairc
DIRETTORE Giuseppe Favilla REDATTORE CAPOMonica Bergamaschi REDAZIONEPaolo Bellintani (1°redattore)Monica Bergamaschi Diletta De LaurentiisGiuseppe Esposito Giuseppe Favilla Marcello GiulianoPasquale Nascenti Mariella PompeiAndrea Robert Elena Santagostini Francesco Sica Riccardo Sciannimanico Antonio Vitale
GFEDITING2021
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L'IRC nella scuola degli anni cinquanta, tra vecchie questioni e nuovi problemi: a cura di P. Nascenti
I campi di esperienza nella scuola dell'infanzia a cura di D. De Laurentiis


EDITORIALE
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PROGRAMMAZIONE E PROGETTAZIONEdi Giuseppe Favila*
Tre film per tre successi didatticia cura di R. Sciannimanico
Angela Grignani, una vita interdisciplinare a cura di M. Giuliano
Tra Irc, storia dell’Arte e valorizzazione dei beni storico-architettonici di un territorio. a cura di P. Bellintani
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Fin dalle origini la scuola pubblica, così come di fatto oggi la intendiamo, aperta a tutti, ha avuto una sua progettualità che nel tempo ha acquisito delle specificità più concettuali che progettuali, per trasformarsi in rigidi programmi di studio da dover completare in un arco di tempo ben preciso (annuale) fino ad arrivare, con l’autonomia scolastica, a definire dei percorsi sempre più calibrati sulla realtà del gruppo classe e del singolo studente al fine di sviluppare in ciascuno di essi competenze di vita. La strada dello sviluppo di cosa fare a scuola e di come adattare al contesto e all’età, lo troviamo fin dalla legge Casati del 1859 che nella scuola elementare inferiore obbligatoria con l’insegnamento di religione, lettura, scrittura, aritmetica elementare, lingua italiana, nozioni elementari sul sistema metrico ha dato la prima impronta alla programmazione. Diversi furono i provvedimenti che configurarono la scuola nel post Unità d’Italia,  ma possiamo cominciare a parlare di veri e propri programmi di origine ministeriale a partire dal 1905 con il Regio Decreto  n. 43 che definiva quelli che furono i nuovi programmi fino ad arrivare alla vera grande riforma, quella che più a lungo ha resistito ma anche in* Responsabile Nazionale UIL Scuola IRC
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Dante e San Michele progetto interdisciplinare cura di E. Santagostini  
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linguaggio comune, così come nello stile di vita di ogni persona. Tutti, ognuno a proprio modo, abbiamo dovuto fare i conti con una realtà che si imponeva come minacciosa, soprattutto per gli anziani, la categoria più colpita nella prima ondata pandemica. Attraverso altre successive determinazioni di legge (decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, articolo 1, comma 2, lettera p e Legge 6 giugno 2020, n. 41, all’articolo 2, comma 3), la didattica a distanza, per lunghi mesi, è diventata l’unica modalità possibile per continuare a “fare scuola”. Un anno di riflessioni, studi, dibattiti, posizioni sindacali di vario genere, hanno accompagnato quel modo di insegnare da casa o da scuola che vede la presenza a distanza o la distanza in presenza del 50% o 100% degli studenti della classe o della scuola. Un enigma senza soluzioni nette, quello che si chiede se la didattica a distanza sia una vera didattica che si possa, in stato di emergenza, sostituire alla didattica tradizionale; se la didattica a distanza possa essere integrata con quella in presenza e dunque diventare didattica digitale integrata. La Didattica a Distanza e la Didattica Digitale integrata chiedono di essere considerate e valutate come una nuova possibilità di didattica. A parere di chi scrive, né l’una né l’altra si possono però, configurare come nuova metodologia per l’apprendimento dei saperi e per lo sviluppo delle competenze e soprattutto possono risultare non sempre utili per lo sviluppo cognitivo e il rafforzamento delle conoscenze di base nelle bambine e nei bambini. Un’affermazione, la mia, che desterà non poche prese di posizione contro e a favore, ma rappresenta quanto, da un anno ormai, attraverso diversi spunti e riflessioni, credo di poter difendere e giustificare: la didattica a distanza e le sue nuove formulazioni, rappresentano solamente una modalità di insegnamento emergenziale e che dovrà essere collocata a riposo una volta terminata la crisi pandemica. Insegnare, come ha affermato, in uno dei sui studi, Massimo Recalcati, noto studioso e psicanalista, è altra cosa, cosa diversa dalla didattica a distanza. Le ore di lezione a scuola portano con sé avventure, incontri, esperienze intellettuali ed emotive profonde. In una recente intervista ad Orizzonte Scuola, Recalcati ha affermato: “Non c’è dubbio che la vita della scuola implica i corpi, l’esistenza di una comunità in presenza. Ed è indubbio che la DAD sia stata una faticosissima supplenza all’impossibilità dell’incontro in presenza”, malgrado ciò, è innegabile, la didattica a distanza è stato strumento prezioso per una volontà precisa che non si arrende davanti all’imprevisto. La didattica digitale integrata, a cui nello scorso mese di luglio, attraverso le linee guida, è stata data un’anima pseudo pedagogica, non può sostituire la valenza di un incontro, di uno sguardo, di una relazione empatica tra docente e studente che lasciano sempre un segno nella formazione e nella crescita della persona, ma ha avuto il merito di mostrare il volto di una comunità educante che non si lascia fermare e che accetta la sfida e si offre come esempio concreto. Le linee guida citate definiscono la didattica digitale integrata, intesa come metodologia innovativa di insegnamento-apprendimento, rivolta a tutti gli studenti della scuola secondaria di II grado, come modalità didattica complementare che integra la tradizionale esperienza di scuola in presenza, e ne estendono il valore, in caso di nuovo lockdown, agli alunni di tutti i gradi di scuola. La didattica digitale integrata, prevede anche una presenza fisica degli studenti in classe, in una percentuale minima/massima del 50%; si tratta dunque di una successiva rimodulazione dell’insegnamento che richiede che “La progettazione della didattica in modalità digitale tenga conto del contesto e assicurare la sostenibilità delle attività proposte e un generale livello di inclusività, evitando che i contenuti e le metodologie siano la mera trasposizione di quanto solitamente viene svolto in presenza”. Ci siamo trovati in poco tempo nel totale stravolgimento di tutte le teorie di apprendimento, mutuando sic et simpliciter quanto sviluppato negli ultimi anni dalle Università Telematiche in qualche cosa di ordinario e continuativo nel tempo.
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parte la più controversa in quanto inserita negli anni più oscuri della nostra storia italiana, la riforma del Ministro siciliano, originario di Castelvetrano in provincia di Trapani, Giovanni Gentile. La riforma che prende il nome del Ministro ha come motivo ispiratore l’accentuazione degli studi umanistici filosofici, trascurando gli studi tecnico scientifici. I programmi ministeriali, ivi compresi i programmi di religione cattolica, che era stata definita «A fondamento e coronamento dell'istruzione elementare in ogni suo grado è posto l'insegnamento della dottrina cristiana, secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica» (Circolare Ministeriale n. 77 del 1924), rimarranno per lo più invariati fino al 1945.  Col D.M. del 9 febbraio n.459 e D.L.gt 24 maggio n.549  “Il fine della scuola fu posto " nel rifare la coscienza e l'anima delle nuove generazioni", associando le forze della cultura a quelle del lavoro e preparando i ragazzi alla vita civile. Si ritenne opportuno anche sottoporre agli insegnanti " diversi motivi di riflessione e di studio" nel campo tecnico- metodologico. Tra le materie costituenti il curricolo era presente l’insegnamento della religione, ispirata al sentimento d'amore verso tutti gli uomini, in modo che i precetti religiosi venissero a corrispondere ai contenuti essenziali ed universali della coscienza umana”. Interessante è notare che anche oggi, nonostante dai programmi del 1945 alle indicazioni nazionali del 2010 siano passati ben ottantacinque anni,  troviamo gli stessi elementi, considerati in un’ottica più ampia e rinnovata. Con una nuova chiave di riflessione: “L’Irc, nell’attuale contesto multiculturale, mediante la propria proposta, promuove tra gli studenti la partecipazione ad un dialogo autentico e costruttivo, educando all’esercizio della libertà in una prospettiva di giustizia e di pace”(Indicazioni Nazionale per l’IRC del Secondo Ciclo di Istruzione 2010). In questa nuova ottica troviamo il punto di snodo, dalla programmazione alla progettazione. Dalla programmazione, così come viene definita per la prima volta nel DPR 416 del 1974 (“programmazione dell’azione educativa anche al fine di adeguare, nell’ambito degli ordinamenti della scuola stabiliti dalla Stato, i programmi di insegnamento alle specifiche esigenze ambientali e di favorire il coordinamento interdisciplinare” art. 4), si passerà alla progettazione dell’attività didattica che trae origine dalla scuola dell’autonomia, istituita con la legge 59 del 1997 e che troverà la sua definitiva archiviazione con il DPR 275/1999. Le scuole, attraverso il Piano dell’Offerta Formativa (diventato triennale con la legge 107/2015), nell’alveo delle Indicazioni Nazionali di ciascuna disciplina, progettano l’attività didattica, in modo  particolare: “Le istituzioni scolastiche, nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa delle famiglie e delle finalità generali del sistema, a norma dell'articolo 8 concretizzano gli obiettivi nazionali in percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni, riconoscono e valorizzano le diversità, promuovono le potenzialità


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di ciascuno adottando tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo formativo” (art. 4 DPR 275/1999). Dunque la progettazione di un percorso non può non tener conto di un ulteriore elemento che lo differenzia anche dalla programmazione: l’interdisciplinarietà. La domanda nasce spontanea, ma la risposta non è altrettanto scontata: come può una disciplina qual è l’IRC raggiungere, insieme alle altre discipline, il successo formativo di ciascun studente? Ebbene da questo momento si dovrebbe aprire un lungo capitolo di riflessione; un lungo capitolo nel quale ripensare l’Insegnamento della Religione Cattolica in un’ottica di trasversalità educativa che trae origine da una scelta operata dal singolo, in un orizzonte progettuale ove si colloca tutta l’azione educativa, anche l’insegnamento di religione cattolica necessita di essere preso in considerazione e riformato. Oggi non è più rinviabile, insieme a tante altre questioni che qui è superfluo riproporre, l’equiparazione valutativa dell’IRC alle altre discipline. Oggi un docente di religione può interagire con le altre discipline per ¾ della propria attività di insegnamento, dovendo, quasi per forza di cose, tralasciare il momento valutativo, dunque interrompere la conclusione del processo. A norma dell’art. 309 del Dlgs 297 del 1994, infatti, viene esclusa la possibilità del docente di poter esprimere un voto o un giudizio interdisciplinare quando questo derivi dall’azione educativa del consiglio di classe nella secondaria o nel team nella scuola primaria in quelle attività progettuali orizzontali che coinvolgono più discipline. Si può parlare dunque di interdisciplinarietà oppure è più opportuno per l’IRC parlare, allo stato attuale, di percorsi multidisciplinari? I percorsi multidisciplinari, anch’essi trasversali, avvengono all’interno delle proprie discipline e considerano l’ultimo momento, quello valutativo, singolarmente. in altri termini ogni disciplina, al termine del percorso attua un proprio momento valutativo, calibrato sulla propria porzione didattico disciplinare e la valuta. La interdisciplinarietà, di contro, necessità di un unico momento valutativo comune a tutte le discipline coinvolte. Come superare questa “discrasia” valutativa? La stessa interdisciplinarietà, ma anche l’insegnamento di ciascuna disciplina necessità di una metodologia, di un approccio specifico, delle strategie comunicative, degli strumenti utili con il fine ultimo di suscitare nell’alunno e nella alunna una profonda riflessione per raggiungere gli obiettivi trasversali, facendo maturare competenze conoscitive e di vita, ma al contempo conoscenze disciplinari propri di ciascuna disciplina attorno ad un specifico tema.I nostri redattori  si cimenteranno, ognuno con le proprie riflessioni, esperienze ed incontri, in questa avventura che collocata nel mese di maggio rappresenta per tutti noi un momento di riflessione sulle scelte educative poste in essere in questo lungo anno fatto da tanti momenti, tra di loro a volte contrastanti, ma sempre necessari per la formazione dell’uomo e del cittadino.Permettetemi di ringraziare una docente e amica, che è stata artefice della mia professione docente di religione cattolica, Angela Grignani, intervistata dall'amico e collega Marcello Giuliano. Ero un giovane docente di scuola primaria su posto comune nell'Istituto Comprensivo di Clusone (BG) all'inizio del 2002. A lei devo il mio essere oggi qui, fu lei che mi aprì le porte della diocesi di Bergamo, insieme al mio direttore di allora e anche oggi don Michele Cortinovis. Auguri, Angela e ancora buon lavoro al servizio dell'IRC.


Dall’aprile del 1947 all’aprile del 1949 il Ministro della Pubblica Istruzione Guido Gonella avviò una grande inchiesta nazionale per la riforma della scuola: quasi settemila questionari compilati i cui risultati confluirono nel Disegno di legge n. 2100 presentato alla Camera dei Deputati il 13 luglio 1951 ma che di fatto non fu mai approvato. Nella relazione che accompagnava il testo leggiamo: “Il comma 5° dell’articolo 15 del presente Disegno di legge stabilisce: «In conformità dell’articolo 7 della Costituzione, è prescritto l’insegnamento della dottrina cattolica; la dispensa dall’obbligo di frequentarlo è disciplinata dalle norme vigenti». [...] Tale dichiarazione corrisponde alle convinzioni delle famiglie italiane che nella quasi totalità non ricorrono alla facoltà di dispensa; […] e indica che l’insegnamento religioso non è ritenuto una materia fra uguali materie scolastiche, ma è invece considerato quale fonte, la più alta ed autorevole, per l’intera concezione dell’opera educativa, nei suoi principi e nei suoi fini supremi; principi e fini che concordano con le premesse etiche e sociali della Costituzione.” Da un certo punto di vista veniva affermata la realtà: l’insegnamento costituiva base e coronamento del piano d’istruzione, con frutti positivi anche nella vita spirituale dei minori. L’interesse verso la materia appariva considerevole per una buona quota di alunni e scarso solo per una minoranza, nonostante alcune difficoltà che venivano segnalate: limitatezza dell’ora settimanale, atteggiamento non sempre favorevole dell’ambiente scolastico nei confronti del docente, scetticismo verso le verità di fede e perplessità sulla Chiesa alimentati a volte dai docenti di Filosofia e Storia, propaganda anti-cattolica circolante a vari livelli. Ma di fatto la situazione reale era ben diversa. Specialmente nei piccoli centri si fece, non di rado, un uso strumentale dell’ora di religione, considerata una sorta di avamposto scolastico della Chiesa, da sfruttare al meglio, soprattutto in occasione delle tornate elettorali. L’apprendimento era passivo e mnemonico e questo iniziava a cozzare con quanto già da tempo suggerivano gli esperti sensibili alla lezione dell’attivismo pedagogico. Persino una voce autorevole, come quella di mons. Elia Dalla Costa, in una delle prime adunanze della nascente Conferenza Episcopale Italiana nel 1953, all’interno di una preoccupata riflessione sulla realtà religiosa e morale del Paese giungeva a definire “penoso” lo stato dell’insegnamento della religione. Non mancarono fermenti di cambiamento, innestati soprattutto da sacerdoti attenti al contesto culturale e ai desideri di rinnovamento della società. Ad esempio: l’esperienza decennale di insegnamento liceale di don Luigi Giussani, che portò alla fondazione della Gioventù Studentesca, movimento cattolico dal quale poi nacque Comunione e Liberazione. Ad esempio: l’innovativo approccio di don Lorenzo Milani e la sua Scuola di Barbiana, la cui esperienza poi venne riversata in Lettere a una professoressa. Ad esempio: il grande impegno di Associazioni come l’Azione Cattolica e di Congregazioni religiose (Salesiani, Paolini, Fratelli delle Scuole Cristiane) nella stampa e nella diffusione di materiale finalizzato alla
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L'IRC nella scuola degli anni cinquanta: tra vecchie questioni e nuovi problemi. di PASQUALE NASCENTI
docente nella Scuola Primaria


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didattica e alla formazione dei docenti. Nonostante ciò il modello proposto restava quello della catechesi totale, fondato sul legame virtuoso tra dottrina cristiana e vita. Ad aizzare le polemiche contribuì la pubblicazione dei nuovi Programmi per la scuola elementare (D.P.R. n. 503 del 14 giugno 1955), che rimarranno in vigore per trent’anni, dovuti al Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Ermini, che fin dalla Premessa generale parlavano di una “formazione anteriore a qualunque finalità professionale” che “ha per dettato esplicito della legge, come suo fondamento e coronamento, l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica” e di indicazioni metodologiche che “si riconducono anzitutto alla nostra tradizione educativa umanistica e cristiana: cioè al riconoscimento della dignità della persona umana; al rispetto dei valori che la fondano: spiritualità e libertà; alla istanza di una formazione integrale”. Si parlava anche di una “naturale continuità” della scuola con la famiglia, le istituzioni educative frequentate, la vita dell’ambiente di fronte al quale si raccomandava “l’aderenza e la partecipazione (…) nella varietà delle sue manifestazioni e nella ispirazione morale e religiosa che l’anima”. Nei programmi dei più piccoli la vita scolastica doveva quotidianamente iniziare con la preghiera, seguita da un canto religioso o dall’ascolto di un semplice brano di musica sacra. Il programma prevedeva “facili conversazioni” su preghiere, su fatti dell’Antico Testamento e su episodi della vita di Gesù. Per i più grandi, in aggiunta a quanto elencato, c’erano i Comandamenti, i Sacramenti, le tradizioni agiografiche locali interessanti per i fanciulli, la Liturgia romana, i capolavori dell’arte sacra. In ogni ciclo era particolarmente raccomandato il riferimento alla “Guida di insegnamento religioso per la scuola materna e le scuole elementari” pubblicata dalla Commissione Superiore per la revisione dei testi di insegnamento religioso della Sacra Congregazione del Concilio. Dello stesso indirizzo furono gli Orientamenti per l’attività educativa nella scuola materna (D.P.R. n. 584 del’11 giugno 1958) nei quali l’ispirazione religiosa doveva “illuminare ed elevare tutta la vita della scuola materna nella forma ricevuta dalla tradizione cattolica”. Nelle indicazioni veniva infatti ribadito la promozione della vita religiosa del bambino “con l’apprendimento delle preghiere più semplici, con riferimenti episodici a fatti dell’Antico Testamento […] con racconti della vita di Gesù, con riflessione sulle principali cerimonie e solennità della Chiesa, cui lo stesso bambino partecipa, con i primi orientamenti di vita morale, sulla base della legge divina”. Decise le critiche dei laici che accusarono apertamente il provvedimento di “giustapposizione tra attivismo e dogmatismo”. Non era soltanto l’impostazione del Professore-Catechista ad essere definitivamente assestata. Si trattava di qualcosa di più profondo: l’impossibilità di educare se non per via di autorità, mediante l’assimilazione di contenuti precostruiti e ordinati a sistema da un’idea centrale, gerarchicamente custodita e trasmessa, senza tener conto delle differenze di allievi e docenti, senza tener conto dell’educazione come processo da attivare. La riduzione dell’educazione religiosa ad insegnamento confessionale oltre a distruggere le radici della libertà di insegnamento e di apprendimento, finiva poi per negare tutte le potenzialità del fatto religioso. Non sfuggiva ai cattolici più sensibili ai temi dell’educazione l’insieme delle critiche mosse sul versante pedagogico. Si registrava il desiderio e lo sforzo di ’vivacizzare’ l’insegnamento della religione.


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Un’indagine promossa nel 1956 dalla rivista ’Catechesi’, che raccolse oltre mille risposte da parte di responsabili degli Uffici Catechistici e insegnanti di religione, forniva dati interessanti. Numerosi interpellati esprimevano bisogno di maggiori approfondimenti di temi che connettessero la teologia con gli aspetti pedagogico-didattici, contributi per meglio comprendere la psicologia di bambini e adolescenti in ordine alla problematica religiosa. Ed è curioso notare che la stessa indagine rilevava quali fossero le ragioni dello scarso successo della disciplina nella scuola, almeno a detta degli intervistati: mancata collaborazione delle famiglie con i titolari dell’insegnamento irrilevante per la carriera scolastica, faticoso raccordo dei docenti con un numero esorbitante di studenti considerate le 18 classi incontrate soltanto un’ora alla settimana, frequente impostazione della lezione secondo un nozionismo catechistico incapace di far trasparire la vitalità feconda della vita cristiana in rapporto ai vissuti personali. Il 1958 è l’anno che segnala il primo importante pronunciamento della giurisprudenza sullo status degli insegnanti di religione: il parere n. 76 della I sezione del Consiglio di Stato nell’Adunanza del 4 marzo del 1958. La questione nasceva dalla possibilità di poter eleggere un docente di religione della scuola secondaria nel Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione tra i rappresentanti della categoria dei professori incaricati abilitati. L’Amministrazione dubitava di questa possibilità e si era perciò rivolta al Consiglio di Stato. La risposta, breve ma esauriente, sottolineava come i docenti di religione fossero docenti con gli stessi diritti e doveri degli altri insegnanti e anche come non fossero semplici incaricati ma “incaricati che sono in possesso di un particolare titolo di abilitazione all’insegnamento religioso”. Tale titolo era costituito dall’idoneità rilasciata dall’Ordinario diocesano in virtù degli accordi previsti dall’art. 36 del Concordato. Lo sviluppo del processo di industrializzazione (il “miracolo economico” che possiamo situare dal 1958 al 1963) caratterizzato da competitività, da una diversa richiesta di forza-lavoro e dal cambiamento dei rapporti sociali a cui conseguiva una più equa distribuzione della ricchezza  determinò una spinta sempre più vasta e convergente verso la trasformazione del nostro sistema economico, sociale e culturale, e l’avvio del processo di secolarizzazione, quest’ultimo favorito assai più da questo sviluppo che non dal diffondersi delle ideologie laiciste o marxiste.


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“Il Metodo attraverso lo specchio”, intervista alla prof.ssa Giulia Isgròdi MARIELLA POMPEIdocente nella Scuola Secondario di Primo Grado
Giulia Isgrò, dirigente scolastico, è stata insegnante di scuola primaria, supervisore di tirocinio presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Palermo e docente nei corsi abilitanti. Dal 2011 è anche supervisore delle attività di tirocinio preservizio presso la Pontificia Facoltà Teologica «S. Giovanni Evangelista» di Palermo, dove è stata anche docente del Corso di Didattica IRC e Legislazione scolastica. Si è sempre occupata di formazione. Ha pubblicato Il senso del tirocinio (Ed.Ad Arte 2006), Il supervisore, questo sconosciuto (Ed.Falcone 2008) e da pochi mesi Il metodo attraverso lo specchio. Il tirocinio: itinerario professionalizzante del docente di religione cattolica (Ed. Rubbettino 2020).
Professoressa Isgrò, lei è da sempre nel mondo della scuola, so che sin da giovanissima è entrata nelle aule come insegnante. Che pensiero vuole rivolgere ai molti giovani, a volte neanche laureati, che si ritrovano a dover fronteggiare degli alunni, una didattica e una metodologia, potendo lavorare come insegnanti grazie a una semplice Mad?Rispondo con una frase di Rainer M. Rilke: “Nessun vento è favorevole per chi non sa dove andare, ma per noi che sappiamo, anche la brezza sarà preziosa.” Voglio dire che i fondamenti teorici aiutano ad avere una prospettiva ed una direzione e quindi, che è necessario studio e preparazione, altrimenti si rischia l'improvvisazione. Non dico che non si possa fare, anche io quando ho iniziato a insegnare, ho dovuto affrontare l'ignoto dal punto di vista metodologico-didattico perché allora il tirocinio era costituito da qualche sporadica entrata in classe senza particolari criteri da seguire, col presupposto che bastasse guardare un paio di volte il docente che insegnava per imparare a farlo. Però ho dovuto costruire da zero il mio metodo, per tentativi ed errori che, con molta probabilità, hanno pagato i miei alunni di allora. Con questo non voglio dire che il tirocinio fornisca una ricetta infallibile per diventare un bravo docente, però aiuta molto, soprattutto in termini di consapevolezza delle proprie potenzialità e dei propri limiti.


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2) I titoli rilasciati dall'ISSR come possono oggi essere spesi nell'ambito lavorativo ? Che riconoscibilità c'è           di questi titoli nell'ordinamento italiano ed europeo/internazionale ? 2)    Il titolo in Scienze religiose è ad oggi riconosciuto dallo Sato italiano come titolo universitario. Gli studi all’ISSR sono studi di livello universitario, con crediti formativi omologabili ai corsi di altre università e in parte sovrapponibili ad altre competenze. Attendiamo però dal MIUR indicazioni più precise su quale tipo di laurea rappresenta, quale ambito del sapere ricopre come titolo, anche in vista della partecipazione a qualche concorso: laurea in filosofia, in scienze dell’educazione, in psicologia...Il MIUR si è impegnato a dare una risposta a breve. In base al processo di Bologna, a cui partecipa il Vaticano, i titoli in scienze religiose e in teologia sono a tutti gli effetti lauree universitarie. Nel mondo tedesco e anglosassone hanno una loro identità e dignità e corrispondono a competenze universitarie riconosciute. Esistono nelle università statali corsi di teologia e/o di scienze delle religioni che abilitano a vari mestieri (come il ruolo di pastori in comunità religiose o docenti di religione o altro…). Anche in Spagna si è giunti al riconoscimento.3) Perchè privilegiare l'iscrizione all'ISSR piuttosto che alla facoltà di Teologia ? Cosa contraddistingue lo    studio delle Scienze Religiose ? 3)    Gli ISSR nascono come formazione di una conoscenza critica della tradizione cristiana da mettere a confronto con le scienze delle religioni e quindi con altre ermeneutiche del fatto religioso (psicologia sociologia, filosofia) e con altre religioni (introduzione all’islam, all’ebraismo…). Invece le Facoltà teologiche vogliono formare teologi, esperti del sapere critico proprio della fede cristiana e quindi dedicati al logos della fede. In tal senso chiede di sapere ebraico, greco e latino, per leggere direttamente le fonti della fede e del sapere derivato (tradizione) a partire dai testi rivelati. Invece l’ISSR si pensa più proiettato nel confronto col pluralismo religioso che caratterizza le nostre società. Di fatto, nella sistemazione del nostro piano di studi, abbiamo deciso a Milano di condividere nel triennio uno studio esteso del sapere critico della fede come via per provare un percorso di conoscenza critica e ragionevole dell’esperienza religiosa cristiana a cui appartiene la nostra storia, per specializzarsi nel biennio in un confronto con altre ermeneutiche del religioso e altre religioni. E’ chiaro che il mutamento epocale che viviamo chiederebbe di rivedere lo spazio dato allo studio delle religioni e alla fenomenologia del religioso, dotandosi di nuovi approcci al fenomeno religioso in base all’organizzazione del sapere di livello universitario (antropologia culturale, studio dei sistemi simbolici, nesso arte e esperienza religiosa, archeologia e storia delle religioni…). Lo strumento di accesso al fenomeno religioso non può essere più semplicemente un certo tipo di razionalità teologica (intracristiana) o una certa filosofia (occidentale)… come dice la nozione tutta nostra di “religione”. Ma si tratta di una sfida culturale di vasta portata, che lasciamo alle giovani e promettenti generazioni.4) L'ISSR di Milano, fondato nel 1961 dall' arcivescovo cardinale G.B.Montini, si avvia a festeggiare il 60° anno di attività. Quali sono i suoi punti di forza ? 4)    L’ISSR di Milano ha una lunga storia, molto istruttiva, fatta di tante variazioni di piano di studio, di coinvolgimento di docenti e competenze, di numero di alunni… Non è qui il luogo per rileggerla, ma certo è stata una storia ricca e travagliata. Oggi la risorsa più bella è quella di avere un gruppo di docenti appassionati e qualificati, che possano offrire un percorso formativo all’altezza della sfida dei tempi. E’ un sogni di molti ISSR: avere non solo un forte indirizzo pedagogico-didattico finalizzato all’IRC, ma anche indirizzi pastorali ministeriali, artistico-culturali o di cura spirituale del malato che possano formare competenze religioso-spirituali capaci di assumere compiti in vari ambiti di impegno nel nostro contesto pluralista: si pensi alla mediazione culturale e religiosa di altre etnie e religioni presenti sul territorio, all’accompagnamento di malati di altre religioni, al discernimento dei nuovi fenomeni religiosi (sette, magia…). Resta prezioso il servizio a tanti uditori di tutte le età che con passione ammirevole chiedono di approfondire la propria fede o tradizione religiosa. Ma bisogna dotarsi di strumenti per fronteggiare nuove sfide legate alla nostra cultura.
L'aver inserito il tirocinio nel corso di laurea che forma i docenti fornisce l'opportunità di accumulare un piccolo bagaglio di esperienza che permette, fra l'altro, di prendere le misure di una situazione della quale i futuri docenti hanno esperienza dall'altro lato della cattedra, cioè come alunni e sulla quale, quasi sempre, hanno accumulato delle convinzioni acritiche, che mettono in atto poi in modo inconsapevole poiché le hanno vissute attraverso i professori delle scuole frequentate da ragazzi. Il tirocinio è una esperienza in vitro, è potere sperimentare in sicurezza il proprio modo di agire l'insegnamento sotto l'occhio attento del docente accogliente, che col suo bagaglio di esperienza e competenza, riflette l'operato del tirocinante facendogli vedere come in uno specchio gli aspetti positivi e negativi del suo modo di porsi all'interno della classe. Consente perciò di non arrivare totalmente impreparati in classe.In Italia abbiamo avuto grandi pedagogisti: Maria Montessori, Gianni Rodari, come insegnante di religione mi viene da pensare anche a Don Milani o a Don Bosco. Come possiamo recuperare spunti preziosi della loro metodologia per i nostri alunni? Essa è ancora valida?Certo, questi grandi pedagogisti hanno indicato una strada, ognuno di loro in modo diverso e ognuno in modo efficace. Hanno tracciato un sentiero che chiunque può seguire utilizzando il loro metodo, ma conservando il proprio stile. Soprattutto non hanno dato nulla per scontato, si sono posti delle domande sulle ragioni di quello che facevano, trovando delle soluzioni, delle strategie utili ai propri allievi. Interrogarsi sul proprio sapere significa che il metodo non può essere costruito se non nella ricerca e implica sempre un riflettere su se stessi, sul proprio operato (sia sui successi che sui fallimenti, ma anche sulla routine e sul quotidiano) distaccandosi periodicamente dal coinvolgimento emotivo e dall'immersione nella realtà che porta spesso a consolidare delle abitudini che cristallizzandosi diventano meccaniche.  L'elaborazione del metodo del docente passa ancora attraverso gli allievi perché sono loro che riflettono le sue azioni. Non è il docente da solo che costruisce il sapere, sono gli studenti insieme al docente; sono loro che ci dicono che tipo di insegnanti siamo, che riflettono le nostre parole e i nostri gesti e ce ne restituiscono il senso. Ecco perché il docente dovrebbe tenere un diario di bordo su cui registrare i punti forti e quelli deboli della sua azione educativa attraverso i feedback ricevuti, per migliorare la propria pratica professionale e, se necessario, cambiare anche la prospettiva da cui studiare la situazione per poter intervenire efficacemente. Non è possibile prescindere dal metodo perché è una delle componenti essenziali della competenza professionale.Da pochi mesi è uscito il suo libro: Il metodo attraverso lo specchio. Il tirocinio: itinerario professionalizzante del docente di religione cattolica. Quanto la metodologia può facilitare l’apprendimento degli alunni?Io sono convinta che sia il metodo il vero contenuto dell'insegnamento. Un buon metodo è ciò che ne garantisce il successo. Possedere un metodo significa innanzitutto avere quella che oggi si chiama vision ossia una direzione, insieme naturalmente, agli strumenti che permettano di seguirla. Un sinonimo di direzione è senso che vuol dire al tempo stesso significato, ossia una ratio che guidi le azioni. Metodo significa essere capaci di decidere che strategia adottare in una particolare situazione e saper risolvere i problemi che si presentano, significa riflettere sui significati delle azioni e sulle loro conseguenze. Come ci suggerisce Morin, nella misura in cui riusciremo a costruire un metodo che aiuti gli studenti a comprendere la realtà che vivono, contribuiremo allo sviluppo dell'intelligenza generale.


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ART. 24 CCNL 2016 COMUNITÀ EDUCANTE
la scuola è una comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i princìpi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata dall’ONU il 20 novembre 1989, e con i princìpi generali dell’ordinamento
2) I titoli rilasciati dall'ISSR come possono oggi essere spesi nell'ambito lavorativo ? Che riconoscibilità c'è           di questi titoli nell'ordinamento italiano ed europeo/internazionale ? 2)    Il titolo in Scienze religiose è ad oggi riconosciuto dallo Sato italiano come titolo universitario. Gli studi all’ISSR sono studi di livello universitario, con crediti formativi omologabili ai corsi di altre università e in parte sovrapponibili ad altre competenze. Attendiamo però dal MIUR indicazioni più precise su quale tipo di laurea rappresenta, quale ambito del sapere ricopre come titolo, anche in vista della partecipazione a qualche concorso: laurea in filosofia, in scienze dell’educazione, in psicologia...Il MIUR si è impegnato a dare una risposta a breve. In base al processo di Bologna, a cui partecipa il Vaticano, i titoli in scienze religiose e in teologia sono a tutti gli effetti lauree universitarie. Nel mondo tedesco e anglosassone hanno una loro identità e dignità e corrispondono a competenze universitarie riconosciute. Esistono nelle università statali corsi di teologia e/o di scienze delle religioni che abilitano a vari mestieri (come il ruolo di pastori in comunità religiose o docenti di religione o altro…). Anche in Spagna si è giunti al riconoscimento.3) Perchè privilegiare l'iscrizione all'ISSR piuttosto che alla facoltà di Teologia ? Cosa contraddistingue lo    studio delle Scienze Religiose ? 3)    Gli ISSR nascono come formazione di una conoscenza critica della tradizione cristiana da mettere a confronto con le scienze delle religioni e quindi con altre ermeneutiche del fatto religioso (psicologia sociologia, filosofia) e con altre religioni (introduzione all’islam, all’ebraismo…). Invece le Facoltà teologiche vogliono formare teologi, esperti del sapere critico proprio della fede cristiana e quindi dedicati al logos della fede. In tal senso chiede di sapere ebraico, greco e latino, per leggere direttamente le fonti della fede e del sapere derivato (tradizione) a partire dai testi rivelati. Invece l’ISSR si pensa più proiettato nel confronto col pluralismo religioso che caratterizza le nostre società. Di fatto, nella sistemazione del nostro piano di studi, abbiamo deciso a Milano di condividere nel triennio uno studio esteso del sapere critico della fede come via per provare un percorso di conoscenza critica e ragionevole dell’esperienza religiosa cristiana a cui appartiene la nostra storia, per specializzarsi nel biennio in un confronto con altre ermeneutiche del religioso e altre religioni. E’ chiaro che il mutamento epocale che viviamo chiederebbe di rivedere lo spazio dato allo studio delle religioni e alla fenomenologia del religioso, dotandosi di nuovi approcci al fenomeno religioso in base all’organizzazione del sapere di livello universitario (antropologia culturale, studio dei sistemi simbolici, nesso arte e esperienza religiosa, archeologia e storia delle religioni…). Lo strumento di accesso al fenomeno religioso non può essere più semplicemente un certo tipo di razionalità teologica (intracristiana) o una certa filosofia (occidentale)… come dice la nozione tutta nostra di “religione”. Ma si tratta di una sfida culturale di vasta portata, che lasciamo alle giovani e promettenti generazioni.4) L'ISSR di Milano, fondato nel 1961 dall' arcivescovo cardinale G.B.Montini, si avvia a festeggiare il 60° anno di attività. Quali sono i suoi punti di forza ? 4)    L’ISSR di Milano ha una lunga storia, molto istruttiva, fatta di tante variazioni di piano di studio, di coinvolgimento di docenti e competenze, di numero di alunni… Non è qui il luogo per rileggerla, ma certo è stata una storia ricca e travagliata. Oggi la risorsa più bella è quella di avere un gruppo di docenti appassionati e qualificati, che possano offrire un percorso formativo all’altezza della sfida dei tempi. E’ un sogni di molti ISSR: avere non solo un forte indirizzo pedagogico-didattico finalizzato all’IRC, ma anche indirizzi pastorali ministeriali, artistico-culturali o di cura spirituale del malato che possano formare competenze religioso-spirituali capaci di assumere compiti in vari ambiti di impegno nel nostro contesto pluralista: si pensi alla mediazione culturale e religiosa di altre etnie e religioni presenti sul territorio, all’accompagnamento di malati di altre religioni, al discernimento dei nuovi fenomeni religiosi (sette, magia…). Resta prezioso il servizio a tanti uditori di tutte le età che con passione ammirevole chiedono di approfondire la propria fede o tradizione religiosa. Ma bisogna dotarsi di strumenti per fronteggiare nuove sfide legate alla nostra cultura.
Come può essere migliorata la metodologia nelle scuole italiane e quali sono i fattori che favoriscono o frenano l’innovazione di un sistema metodologico che qualcuno considera obsoleto?Il tirocinio è una delle strade da percorrere per affinare il metodo, perché permette di mettere in atto tecniche specifiche e soprattutto di acquisire consapevolezza sia delle diverse metodologie applicabili che della loro validità, di riflettere su quanto una tecnica possa essere più o meno consona al modo di operare di ogni insegnante. Per analizzare i fattori che ostacolano o favoriscono l'innovazione metodologica occorrerebbe un libro ad hoc, ma in estrema sintesi penso che la Ricerca Azione possa essere una delle pratiche più utili per rinforzare o abbandonare una metodologia, poiché permette al docente di interrogarsi sistematicamente sulle proprie azioni e di fare una continua messa a punto rispetto alle premesse da cui è partito e ai risultati conseguiti mantenendo il contatto con la classe in cui opera, ma al contempo rinnovando l'orizzonte della sua ricerca. Insegnamento e apprendimento non sono solo delle tecniche strumentali, ma espressione di idee e modi di strutturazione di contesti a vari livelli che, come dicevo prima, consolidano forme e abitudini di pensiero spesso inconsapevoli, per cui strategie e stili educativi sono diversi da docente a docente. Lo stile, proprio per le problematiche che sottende, può essere infatti definito un enigma col quale bisogna confrontarsi, riflettendo sulle premesse implicite del fare quotidiano, facendo attenzione anche all'etica che emerge dai comportamenti degli insegnanti nel fronteggiare situazioni, conflitti e problemi. La pratica riflessiva come “procedura meta” è indispensabile: bisogna sviluppare quella che Bateson chiama l'abilità del ricevente, ossia la capacità di essere pronti per la scoperta giusta quando essa arriva.
Non è vero che non si può dire agli altri cosa devono fare. Essi lo faranno e lo faranno bene. Questa è l'idea di tirocinio racchiusa in queste pagine: entrare dentro la pratica per capirla attraverso l'arte del guardare (guarda come faccio) e l'arte del raccontare (ti dico come fare).


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ART. 24 CCNL 2016 COMUNITÀ EDUCANTE
la scuola è una comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i princìpi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata dall’ONU il 20 novembre 1989, e con i princìpi generali dell’ordinamento
Cogestione e Scuola aperta
di FRANCESCO SICA docente nella Scuola Secondaria di II grado
Il decreto Legge sulla creatività nella scuola (D.L. 60 /2017) rappresenta una sfida per le scuole di ogni ordine e grado, ma in special modo per quelle appartenenti al secondo grado. In tal senso, il Liceo Classico e Coreutico Tito Livio di Milano, da qualche anno, propone la forma della cogestione come possibilità di realizzazione della creatività e dell’autoformazione degli studenti. La cogestione consiste nel dedicare un periodo scolastico a focalizzare temi che rientrano nell’interesse degli studenti. Normalmente un liceo ha una sua struttura e programmazione, soprattutto in un liceo classico, che si rifà al mondo classico. Può accadere, così, che alcuni temi, soprattutto dell’attualità, restino fuori. Questi, sono i temi che in genere emergono, quando gli studenti sono stimolati a proporli. Sono sostanzialmente il tema dell’ambiente e del genere, ovvero quei temi che toccano più da vicino i ragazzi e che difficilmente vengono trattati nel contesto scolastico. Diversamente dall’autogestione, altra forma (in cui gli studenti autonomamente costruiscono il momento assembleare e della didattica), nella cogestione c’è un accordo, tra scuola e studenti. In questo accordo, si lascia agli studenti la scelta dei temi, contattare gli esperti, mentre la scuola, in quanto istituzione, collabora alla parte organizzativa, integrando con la possibilità di indicare degli esperti o apportando essi stessi dei contenuti. I ragazzi poi scelgono, tra un numero elevato di proposte, quelle che personalmente a loro interessano, sia per l’esperto o la dinamica e la modalità a loro più congeniale. Questo metodo punta sul principio della conoscenza emotiva, che assicura una personalizzazione e rielaborazione del sapere più profonda e duratura nel tempo. È un modo di apprendere diverso da quello classico, ma è certamente un modo di apprendere, che interessa la sfera creativa della conoscenza, non soltanto quella meccanica o mnemonica, in uso secondo la prassi nelle scuole. L’enorme, nonché sostanziale differenza, con il progetto scuola aperta è che la cogestione è un affare interno alla scuola, esclusivo del mondo dei docenti ed il mondo degli studenti. Nel primo caso invece la scuola coinvolge anche le famiglie ed il territorio aprendo le porte sia in uscita che in entrata. Questa dinamica non è facile. Nel 1974 sono stati approvati i decreti delegati che sono il modo di governare la collegialità all’interno di una scuola, ma hanno 47 anni di vita ed andrebbero aggiornati. Questo perché ci sono alcuni aspetti collegiali che oramai sono obsoleti, che vanno ridisegnati assolutamente. In mancanza di direttive ministeriali, le scuole sperimentano il loro modo di costruire una nuova idea di collegialità. Sostanzialmente un nuovo modo di coinvolgere le famiglie ed il territorio, non solo formalmente. Proprio perché si voleva dare una risposta concreta a questo, e non solo una dichiarazione d’intenti (come accade in molti PTOF), la proposta di scuola aperta è in questa direzione: coinvolgere territorio, docenti, studenti e famiglie in una proposta di interesse comune. Abbiamo così costituito un tavolo per


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la scuola è una comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i princìpi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata dall’ONU il 20 novembre 1989, e con i princìpi generali dell’ordinamento
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l’ambiente, il principale tema. A partire da questo, si vuole arrivare poi ad altri temi, disegnando così un comitato di redazione. Tale redazione è un gruppo di persone che, identificando temi di interesse comune di tutti i componenti: trovano esperti, nonché organizzano una proposta di incontri, che siano un po’ la sintesi di quello che interessa a docenti, studenti e famiglie. È una proposta di nuova scuola e di apertura al territorio, da cui non può prescindere la formazione dei nostri ragazzi. In tal senso le energie e le competenze, ma soprattutto la creatività, presenti nelle tante persone che compongono questo gruppo educativo, vengono messe in comune dando vita a nuove competenze, creatività, idee ed energie. Queste trovano una forma catalizzatrice nella scuola, non più luogo soltanto di apprendimento, ma realtà performativa di accompagnamento verso la realizzazione della comunità dell’oggi ma soprattutto del domani.
“Coltivare e custodire il creato è un'indicazione di Dio data non solo all'inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti.”
Papa Francesco


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2) I titoli rilasciati dall'ISSR come possono oggi essere spesi nell'ambito lavorativo ? Che riconoscibilità c'è           di questi titoli nell'ordinamento italiano ed europeo/internazionale ? 2)    Il titolo in Scienze religiose è ad oggi riconosciuto dallo Sato italiano come titolo universitario. Gli studi all’ISSR sono studi di livello universitario, con crediti formativi omologabili ai corsi di altre università e in parte sovrapponibili ad altre competenze. Attendiamo però dal MIUR indicazioni più precise su quale tipo di laurea rappresenta, quale ambito del sapere ricopre come titolo, anche in vista della partecipazione a qualche concorso: laurea in filosofia, in scienze dell’educazione, in psicologia...Il MIUR si è impegnato a dare una risposta a breve. In base al processo di Bologna, a cui partecipa il Vaticano, i titoli in scienze religiose e in teologia sono a tutti gli effetti lauree universitarie. Nel mondo tedesco e anglosassone hanno una loro identità e dignità e corrispondono a competenze universitarie riconosciute. Esistono nelle università statali corsi di teologia e/o di scienze delle religioni che abilitano a vari mestieri (come il ruolo di pastori in comunità religiose o docenti di religione o altro…). Anche in Spagna si è giunti al riconoscimento.3) Perchè privilegiare l'iscrizione all'ISSR piuttosto che alla facoltà di Teologia ? Cosa contraddistingue lo    studio delle Scienze Religiose ? 3)    Gli ISSR nascono come formazione di una conoscenza critica della tradizione cristiana da mettere a confronto con le scienze delle religioni e quindi con altre ermeneutiche del fatto religioso (psicologia sociologia, filosofia) e con altre religioni (introduzione all’islam, all’ebraismo…). Invece le Facoltà teologiche vogliono formare teologi, esperti del sapere critico proprio della fede cristiana e quindi dedicati al logos della fede. In tal senso chiede di sapere ebraico, greco e latino, per leggere direttamente le fonti della fede e del sapere derivato (tradizione) a partire dai testi rivelati. Invece l’ISSR si pensa più proiettato nel confronto col pluralismo religioso che caratterizza le nostre società. Di fatto, nella sistemazione del nostro piano di studi, abbiamo deciso a Milano di condividere nel triennio uno studio esteso del sapere critico della fede come via per provare un percorso di conoscenza critica e ragionevole dell’esperienza religiosa cristiana a cui appartiene la nostra storia, per specializzarsi nel biennio in un confronto con altre ermeneutiche del religioso e altre religioni. E’ chiaro che il mutamento epocale che viviamo chiederebbe di rivedere lo spazio dato allo studio delle religioni e alla fenomenologia del religioso, dotandosi di nuovi approcci al fenomeno religioso in base all’organizzazione del sapere di livello universitario (antropologia culturale, studio dei sistemi simbolici, nesso arte e esperienza religiosa, archeologia e storia delle religioni…). Lo strumento di accesso al fenomeno religioso non può essere più semplicemente un certo tipo di razionalità teologica (intracristiana) o una certa filosofia (occidentale)… come dice la nozione tutta nostra di “religione”. Ma si tratta di una sfida culturale di vasta portata, che lasciamo alle giovani e promettenti generazioni.4) L'ISSR di Milano, fondato nel 1961 dall' arcivescovo cardinale G.B.Montini, si avvia a festeggiare il 60° anno di attività. Quali sono i suoi punti di forza ? 4)    L’ISSR di Milano ha una lunga storia, molto istruttiva, fatta di tante variazioni di piano di studio, di coinvolgimento di docenti e competenze, di numero di alunni… Non è qui il luogo per rileggerla, ma certo è stata una storia ricca e travagliata. Oggi la risorsa più bella è quella di avere un gruppo di docenti appassionati e qualificati, che possano offrire un percorso formativo all’altezza della sfida dei tempi. E’ un sogni di molti ISSR: avere non solo un forte indirizzo pedagogico-didattico finalizzato all’IRC, ma anche indirizzi pastorali ministeriali, artistico-culturali o di cura spirituale del malato che possano formare competenze religioso-spirituali capaci di assumere compiti in vari ambiti di impegno nel nostro contesto pluralista: si pensi alla mediazione culturale e religiosa di altre etnie e religioni presenti sul territorio, all’accompagnamento di malati di altre religioni, al discernimento dei nuovi fenomeni religiosi (sette, magia…). Resta prezioso il servizio a tanti uditori di tutte le età che con passione ammirevole chiedono di approfondire la propria fede o tradizione religiosa. Ma bisogna dotarsi di strumenti per fronteggiare nuove sfide legate alla nostra cultura.
I campi d’esperienza nella scuola dell’infanzia di DILETTA DE LAURENTIIS docente nella Scuola dell'Infanzia
Inseriti dagli Orientamenti del 1991 per delineare settori specifici di competenza del bambino, i cosiddetti “campi di esperienza” sono aree specifiche e individuabili di competenza nelle quali il bambino può conferire un significato alle sue molteplici attività, sviluppare il suo apprendimento acquisendo anche le strumentazioni linguistiche e procedurali, e perseguire i suoi traguardi formativi nel concreto di una esperienza che si svolge entro confini definiti e con il costante suo attivo coinvolgimento. Il termine “campo” richiama la teoria del campo di Kurt Lewin che lo definì come "la totalità di fatti coesistenti che sono concepiti come mutualmente interdipendenti". Dal 1991 al 2012, diverse sono state le modifiche apportate ai diversi campi, così come è variato il loro numero: se nelle Indicazioni per il curricolo per la scuola dell'infanzia e per il primo ciclo d'istruzione del 2007 i campi di esperienza sono "luoghi del fare e dell’agire del bambino orientati dall'azione consapevole degli insegnanti e introducono ai sistemi simbolico-culturali", nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo d'istruzione del 2012 diventano "un insieme di oggetti, situazioni, immagini e linguaggi, riferiti ai sistemi simbolici della nostra cultura, capaci di evocare, stimolare accompagnare apprendimenti progressivamente più sicuri". È possibile quindi definire un campo di esperienza come parte del vissuto del bambino, riassunto nelle sue manifestazioni comportamentali, comunicative, relazionali, nel suo modo di approcciarsi nelle diverse situazioni oltre ad essere anche il vissuto dell’insegnante e il contesto entro cui le esperienze si svolgono. Il campo è infatti un concetto dinamico in cui le parti coinvolte (bambino, docente e contesto) si trasformano reciprocamente, si arricchiscono, evolvono. È per tale ragione che la distribuzione dell’Irc in tutti i campi di esperienza, è un riconoscimento all’impostazione complessiva della scuola dell’infanzia ed esprime la volontà di inserirsi coerentemente al suo interno: ritagliare uno spazio per l’Irc all’interno di un solo campo avrebbe infatti erroneamente isolato da un lato l’Irc e dall’altro tradito l’unitarietà dell’esperienza infantile, che può essere ripartita in campi distinti solo dal punto di vista dell’adulto. Ciò che viene raggiunto, attraverso l’esperienza affrontata dal bambino in ogni diverso campo, è chiamato genericamente “traguardo”. È così che, dal punto di vista dei traguardi per l’Irc, nel primo campo d’esperienza “il sé e l’altro”, il bambino scopre nei racconti del Vangelo, la persona e l’insegnamento di Gesù. Sul piano dei contenuti, in questo primo traguardo, sono già presenti tutti gli elementi che caratterizzano in genere l’Irc: il Vangelo, Gesù, Dio, la Chiesa come comunità e le relazioni personali. Il bambino è ovviamente invitato a misurarsi con questi contenuti in maniera adeguata per la sua età ma è importantesottolineare come sia fondamentale rendere il bambino protagonista a riprova del fatto che si trat-


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2) I titoli rilasciati dall'ISSR come possono oggi essere spesi nell'ambito lavorativo ? Che riconoscibilità c'è           di questi titoli nell'ordinamento italiano ed europeo/internazionale ? 2)    Il titolo in Scienze religiose è ad oggi riconosciuto dallo Sato italiano come titolo universitario. Gli studi all’ISSR sono studi di livello universitario, con crediti formativi omologabili ai corsi di altre università e in parte sovrapponibili ad altre competenze. Attendiamo però dal MIUR indicazioni più precise su quale tipo di laurea rappresenta, quale ambito del sapere ricopre come titolo, anche in vista della partecipazione a qualche concorso: laurea in filosofia, in scienze dell’educazione, in psicologia...Il MIUR si è impegnato a dare una risposta a breve. In base al processo di Bologna, a cui partecipa il Vaticano, i titoli in scienze religiose e in teologia sono a tutti gli effetti lauree universitarie. Nel mondo tedesco e anglosassone hanno una loro identità e dignità e corrispondono a competenze universitarie riconosciute. Esistono nelle università statali corsi di teologia e/o di scienze delle religioni che abilitano a vari mestieri (come il ruolo di pastori in comunità religiose o docenti di religione o altro…). Anche in Spagna si è giunti al riconoscimento.3) Perchè privilegiare l'iscrizione all'ISSR piuttosto che alla facoltà di Teologia ? Cosa contraddistingue lo    studio delle Scienze Religiose ? 3)    Gli ISSR nascono come formazione di una conoscenza critica della tradizione cristiana da mettere a confronto con le scienze delle religioni e quindi con altre ermeneutiche del fatto religioso (psicologia sociologia, filosofia) e con altre religioni (introduzione all’islam, all’ebraismo…). Invece le Facoltà teologiche vogliono formare teologi, esperti del sapere critico proprio della fede cristiana e quindi dedicati al logos della fede. In tal senso chiede di sapere ebraico, greco e latino, per leggere direttamente le fonti della fede e del sapere derivato (tradizione) a partire dai testi rivelati. Invece l’ISSR si pensa più proiettato nel confronto col pluralismo religioso che caratterizza le nostre società. Di fatto, nella sistemazione del nostro piano di studi, abbiamo deciso a Milano di condividere nel triennio uno studio esteso del sapere critico della fede come via per provare un percorso di conoscenza critica e ragionevole dell’esperienza religiosa cristiana a cui appartiene la nostra storia, per specializzarsi nel biennio in un confronto con altre ermeneutiche del religioso e altre religioni. E’ chiaro che il mutamento epocale che viviamo chiederebbe di rivedere lo spazio dato allo studio delle religioni e alla fenomenologia del religioso, dotandosi di nuovi approcci al fenomeno religioso in base all’organizzazione del sapere di livello universitario (antropologia culturale, studio dei sistemi simbolici, nesso arte e esperienza religiosa, archeologia e storia delle religioni…). Lo strumento di accesso al fenomeno religioso non può essere più semplicemente un certo tipo di razionalità teologica (intracristiana) o una certa filosofia (occidentale)… come dice la nozione tutta nostra di “religione”. Ma si tratta di una sfida culturale di vasta portata, che lasciamo alle giovani e promettenti generazioni.4) L'ISSR di Milano, fondato nel 1961 dall' arcivescovo cardinale G.B.Montini, si avvia a festeggiare il 60° anno di attività. Quali sono i suoi punti di forza ? 4)    L’ISSR di Milano ha una lunga storia, molto istruttiva, fatta di tante variazioni di piano di studio, di coinvolgimento di docenti e competenze, di numero di alunni… Non è qui il luogo per rileggerla, ma certo è stata una storia ricca e travagliata. Oggi la risorsa più bella è quella di avere un gruppo di docenti appassionati e qualificati, che possano offrire un percorso formativo all’altezza della sfida dei tempi. E’ un sogni di molti ISSR: avere non solo un forte indirizzo pedagogico-didattico finalizzato all’IRC, ma anche indirizzi pastorali ministeriali, artistico-culturali o di cura spirituale del malato che possano formare competenze religioso-spirituali capaci di assumere compiti in vari ambiti di impegno nel nostro contesto pluralista: si pensi alla mediazione culturale e religiosa di altre etnie e religioni presenti sul territorio, all’accompagnamento di malati di altre religioni, al discernimento dei nuovi fenomeni religiosi (sette, magia…). Resta prezioso il servizio a tanti uditori di tutte le età che con passione ammirevole chiedono di approfondire la propria fede o tradizione religiosa. Ma bisogna dotarsi di strumenti per fronteggiare nuove sfide legate alla nostra cultura.
ti effettivamente di competenze che presuppongo una partecipazione ed un atteggiamento personale e non di apprendimenti meramente contenutistici che porterebbero ad un apprendimento mnemonico. Più breve ed essenziale è il traguardo proposto per il campo dedicato a “il corpo in movimento”: non è infatti facile rintracciare l’esperienza religiosa nella dimensione corporea ma la proposta individua una chiave di lettura nel corpo come strumento di comunicazione. La natura personale di queste competenze è quindi data dalla capacità di riconoscere i segni del corpo come strumenti per comunicare. Nel terzo campo d’esperienza denominato dalle Indicazioni del 2012 “immagini, suoni e colori”, emerge con tutta la sua evidenza la natura linguistico-simbolica dell’Irc che concentra l’attenzione su alcuni aspetti visibili dell’esperienza religiosa: più preciso è il riferimento alle feste tra le quali occupano una posizione privilegiata senz’altro il Natale e la Pasqua. La chiave di lettura linguistica suggerisce come questo sia il traguardo per lo sviluppo delle competenze più legato alla dimensione culturale e fenomenologica del fatto religioso che traghetta perfettamente verso la penultima area: “i discorsi e le parole”. La dimensione linguistica è propria di questo quarto campo d’esperienza in termini prevalentemente strumentali in quanto il bambino impara ad usare la lingua italiana e lo fa anche in ambito religioso: il traguardo è formulato in termini molto semplici come applicazione delle competenze linguistiche generali alla specifica dimensione religiosa come, ad esempio, la narrazione di piccoli racconti biblici attraverso la riutilizzazione del linguaggio religioso appreso dall’insegnante. È poi nell’ultimo campo di esperienza che possiamo intravedere il collegamento tra tutte le esperienze che portano il bambino a sviluppare sentimenti di responsabilità nei confronti della realtà, e quindi del Creato, partendo dall’osservazione dell’ambiente circostante da operare con meraviglia, curiosità e fiducia. Sono questi aspetti partecipativi che danno il senso della competenza da promuovere: si tratta di atteggiamenti sostanzialmente spontanei nei bambini che l’insegnante può al meglio sfruttare per far maturare sentimenti di ulteriorità, di apertura verso il mondo e verso il prossimo che possono definirsi più specificatamente religiosi. È a questo punto chiaro come i campi di esperienza fungono da legame tra l'esperienza vissuta prima dell'ingresso nella scuola dell'infanzia e quella successiva nella scuola di base, diventando strumenti di riflessione e di dialogo attraverso i quali i bambini vengono progressivamente introdotti nella cultura, nella dimensione simbolica e quindi alfabetica, del mondo degli adulti segnando in tal modo per il bambino, una tappa fondamentale verso la padronanza di sé, delle proprie emozioni e dell’autonomia.


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TRE FILM PER TRE SUCCESSI DIDATTICI: di RICCARDO SCIANNIMANICO Laureando in in media management UniCatt.
Per testimoniare tre successi didattici vi consiglio tre film, il magnifico Non una di meno di Zhang Yimou (1999), Lezioni di sogni di Sebastian Grobler (2011) e Il professore cambia scuola di Olivier Ayache-Vidal (2017).
Non una di meno di Zhang Yimou (1999)Il primo dei tre segue le vicissitudini di una ragazzina di 13 anni assunta come supplente in una scuola. Il secondo film è ambientato nel 1874 e racconta la storia vera di un insegnante tedesco che insegna il gioco del calcio ai suoi studenti parlando inglese. Il terzo, infine, narra di un docente associato di un liceo parigino costretto a trasferirsi in periferia a svolgere la propria professione. La riflessione sull’insegnamento è, dunque, condotta attraverso epoche diverse e culture diverse, ma il messaggio è univoco: manca il punto di contatto tra insegnanti e alunni. Nel film cinese Non una di meno, infatti, ai giovanissimi studenti è richiesto di copiare pedissequamente un testo scritto alla lavagna, semplice quanto geniale metafora della “standardizzazione degli input”. Tale termine indica una formazione basata sull’uguaglianza di contenuti, che porta con sé due problemi: la totale mancanza di varietà, che porta alla massificazione, e il totale controllo sulle fonti da parte degli organismi del potere, che non ammettono alcuna scelta ma un semplice adeguamento tacito.
Il professore cambia scuola di Olivier Ayache-Vidal (2017).Nel film Il professore cambia scuola, ambientato nella Francia contemporanea, assistiamo a un professore fiducioso solo nei vecchi insegnanti, ritenuti dall’uomo più esperti e capaci dei più giovani. Ma l’esperienza non è sufficiente a qualificare un buon docente, occorre anche saperla trasmettere agli studenti. Se, quindi, è vero che tendenzialmente tanto più si cresce quanto più si accumula esperienza, non è altrettanto assodato che un individuo più maturo possa più interpretare il sentimento giovanile, specie in un mondo in continuo cambiamento, sia tecnologico sia, quindi, sociale.


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Lezioni di sogni di Sebastian Grobler (2011)Infine, nel film Lezioni di sogni, l’ambientazione storico nella Germania del XIX secolo porta a un inevitabile confronto tra passato e presente. Il contesto imperiale, destinato a concludersi con la fine della Grande Guerra, porta con sé nazionalismo, scontro tra più classi e obbedienza coatta al regime. Torna quindi la parzialità delle fonti, ma se pensiamo alla parola “totalitarismo” in relazione alla Germania e all’istruzione, la figura dei roghi dei libri si materializza nella nostra mente. Il regime totalitario, infatti, per funzionare ha bisogno dell’ignoranza delle masse, che devono solo obbedire e alimentare il potere e le perversioni dei regnanti.
Tutti e tre i film, quindi, riflettono sul contesto sociale e su come l’insegnante debba adattarsi alla classe in cui insegna. Ciò, chiaramente, non significa attribuirgli una colpa, in quanto ogni storia parte dal presupposto che gli alunni siano indisciplinati e abbandonati a se stessi. Ma siccome i giovani sono troppo in balia delle emozioni e delle passioni, occorre una figura in grado di indirizzare i loro passi, soprattutto tenendo ben presente che, in fase adolescenziale, l’essere umano tende a distaccarsi dalla figura dei genitori e ad agire di istinto, ritenendo di conoscere tutto della vita. Appare dunque evidente che sia l’insegnante a prendere in mano le vite dei suoi alunni, in quanto figura esperta diversa dai genitori. Chiaramente, però, è importante che il docente si discosti dai tratti genitoriali, perché altrimenti i ragazzi identificano nella sua persona i genitori e non prestano alcun ascolto. Ciò che ora l’apparato scolastico stenta ancora a comprendere è proprio l’importanza della modalità di approccio nei confronti dello studente, specie se in una delicata fase di crescita come l’adolescenza. Molti insegnanti, per farsi rispettare, non esitano a intimorire lo studente, inculcandogli una visione negativa della vita e facendo leva sulla competizione, senza, per contro, proporre anche la collaborazione. L’istruzione è un ambito troppo importante per la vita umana, ma è anche l’ambito di cui si parla meno, come si è visto durante la pandemia.


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Angela Grignani: una vita interdisciplinaredi MARCELLO GIULIANOdocente nella Scuola Primaria
Nata a Pavia nel 1947, Angela Grignani è stata nella provincia e Diocesi di Bergamo insegnante attivissima nella scuola primaria, nel territorio e nella pastorale. Da oltre quarant’anni, collabora con l’Ufficio per l’Insegnamento della Religione Cattolica per la formazione degli insegnanti della primaria. Per questo, ci sembra opportuno rivolgerle alcune domande circa l’educazione e la sua esperienza.
L’educatore diventa tale per un insieme di conoscenze? L’educazione deriva, come qualcuno sostiene, da una sapienza superiore? Gli antichi filosofi-educatori non scrivevano trattati, ma camminavano e vivevano con i loro discepoli, da Pitagora a Socrate, a Gesù. Non scrissero nulla e fecero storia.Cito una frase dal mio ultimo corso di formazione per gli Idr della diocesi di Bergamo: un educatore è più di un esperto, è un testimone del proprio sapere, nel senso che lo possiede con la necessaria competenza e, attraverso un lavoro su di sé, lo ha elaborato a livello esistenziale. Il vero educatore è sempre coinvolto interiormente perché è un maestro di vita: attraverso l’ascolto e il dialogo, guida e costruisce rapporti di fiducia che hanno come obiettivo la verità della persona, la propria verità e quella dell’altro, perché educare è una relazione d’amore. Ecco il segreto dei grandi educatori della storia.Non si fa l’educatore, si è un educatore e ciò non è possibile senza partire dalla propria umanità, per cogliere nell’altro non soltanto i bisogni e i problemi, ma per entrare in rispettoso contatto con tutto il suo potenziale umano, cioè il “bello, il buono, il vero” che c’è in lui e che aspetta di esprimersi.
Angela Grignani nel 2012, già in pensione, veniva chiamata in diversi istituti comprensivi ad incontrare le classi per presentare i suoi libri all’appuntamento "Incontro con l' autore”.


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Quando parliamo di interdisciplinarità vogliamo puntare all’accostamento di discipline tra loro comunicanti, o a quella capacità di comprendere e interpretare i discepoli, vedendo ciò di cui abbiano bisogno in quel loro momento?L’interdisciplinarietà per me è dare spazio alla “grandezza” intrinseca delle persone, è aprire insieme a loro la mente e il cuore per vedere l’armonia del mondo e come collocarsi in essa. Purtroppo, senza questa visione esistenziale di fondo, l’azione interdisciplinare rischia di ridursi ad aprire i cassetti delle discipline in cui abbiamo costretto la realtà per tirar fuori ad hoc collegamenti e connessioni. Strategie e metodologie ben vengano se servono da riferimento unificante della ricerca didattica, per ricondurre le diverse discipline all’unità del sapere e del vivere, punto da cui derivano, verso cui convergono e che le trascende. All’interno di ogni disciplina l’interdisciplinarietà è uscire dalla logica dei pacchetti preconfezionati. I temi e i concetti chiave vanno avvicinati con gradualità, ma fondamentale è la ciclicità con cui devono ritornare, per allontanare qualsiasi frammentazione che impedisca l’immergersi, docente e discente, nell’interesse e nello stupore per la meraviglia del “tutto” presente e percepibile nell’esperienza.Si può trasferire un metodo tecnico-scientifico, o presunto tale, su un’arte, quella dell’educazione, fondata invece sulla relazione e l’accoglimento di ciò che accade nell’animo di una persona?L’arte, qualsiasi arte, presuppone l’utilizzo di mezzi e la tensione ad un fine. Il primo pericolo è che i mezzi, le tecniche, assumano un valore per se stessi e che facciano scordare il fine. Il secondo pericolo è che ci si ponga un fine “sbagliato”, non adeguato al vero “educare”. Ma perché il nostro agire diventi arte bisogna che i mezzi e il fine abbiano un’anima. Non c’è arte senza la capacità comunicativa, l’espressione sincera di noi stessi, il dono del nostro sapere. Arte nell’educare è contagiare con l’entusiasmo, trasmettere conoscenze con convinzione e condivisione, adeguare l’opera alle persone, al tempo e al luogo, superando il contingente e il transitorio.
Fiumenero (BG), pluriclasse 1-2-3.


Vedo i numerosi libri che hai pubblicato ed il modo in cui hai non solo insegnato nella scuola elementare, da quel paesino sperduto tra le nevi, Fiumenero in Val Seriana, alla tua ultima sede a Piario, dove ti trattenesti per 26 anni. Colgo non solo che il tuo insegnamento sia stato interdisciplinare, ma la tua vita intera…I miei 35 anni di servizio non sono stati lo svolgimento di un mestiere, ma la mia piena realizzazione in questo ambito, come negli altri della mia vita. Per gli abitanti di Piario anche in pensione sono rimasta “la maestra Angela”. Non abitavo lì, ma sono talmente entrata nel tessuto sociale da passare dagli spettacoli con gli alunni all’animazione di un gruppo di teatro e tradizioni popolari. In classe si faceva ricerca d’ambiente per allestire mostre e si preparava anche materiale divulgativo. Tu dici che il mio insegnamento e la mia vita hanno un’impronta interdisciplinare. Forse…, sta di fatto che non ho mai aperto e chiuso parentesi e sono sempre stata “vera”, io, nella mia interezza, anche sofferta e scomoda, con il mio stile e la mia visione delle priorità.In tutto questo, quale spazio ha avuto la tua fede? In uno dei tuoi libri scrivevi: “Ho temuto che la mia povera fede morisse con la morte di mio marito” e ricordi Luciano come ‘sprofondato in Dio’. Anche lui educatore, insegnante, preside e presente in ogni situazione che richiedesse educazione, penso anche all’ambito politico o parrocchiale, al coro. Tutti e due coinvolti nella fede e nel territorio, con le persone …Per rispondere non trovo di meglio che citare alcune frasi tratte dalla presentazione di don Gianni Carminati ad una mia pubblicazione. Nei libri di Angela è espressa una fede che non è un lussuoso soprammobile con cui ornare la propria vita, né un amuleto da lucidare in cerca di consolazione per i momenti di sconforto, ma che è “forza viva”, fatta carne nelle esperienze amare e finalmente diventata potenza di risurrezione, guadagnata accettando di ripartire ogni volta da zero. Si narrano vicende in cui Dio non esonera dal dolore, ma attraverso il dolore conduce ad una vita di risorti, più profonda, di più ampio respiro, più vicina a lui, vissuta con un amore per gli altri più grande di quello che si aveva prima di passare attraverso la prova e di essere salvati. Comunque non ho scritto solo libri di introspezione, ma anche memorie , biografie, documentazioni e… fiabe!Abbiamo esplicitato alcuni temi, ognuno dei quali meriterebbe utili approfondimenti anche nella rubrica ‘Paideia web’. Se ti sarà possibile, gradiremmo averti nostra ospite nel prossimo anno sociale, anche per parlare di come tra gli insegnanti specialisti di religione riuscisti, con l’Ufficio Irc, a far nascere quei laboratori territoriali ancora vivi ed attivi, dai quali, ormai, è anche nato un gruppo di docenti formatori per gli insegnati Idr. Grazie, Angela.  
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Dante e San Michele progetto interdisciplinaredi ELENA SANTAGOSTINIdocente nella Scuola Primaria
Nell’ambito di progetti interdisciplinari, un’esperienza arricchente fu la realizzazione, in collaborazione con il Comune di Pavia, la parrocchia di San Michele Maggiore di Pavia e l’associazione il Bel San Michele, di una guida turistica a fumetti destinata ai giovanissimi visitatori del monumento. Il lavoro ci impegnò per il primo quadrimestre dell’anno scolastico corrente e permise agli alunni di familiarizzare con la basilica, studiandone i particolari artistici e, più ampiamente, di avvicinarsi alla gloriosa storia di Pavia, capitale dei Longobardi.
Ai giovani allievi, della Scuola Primaria Carducci di Pavia, furono dapprima presentate le origini della città, fondata 2300 anni fa dai Liguri, ai quali, due secoli dopo, si sostituirono gli antichi Romani: a tal proposito si rifletté sull’origine latina dell’antico nome “Ticinum” e sulla pianta a scacchiera che il centro storico ancora oggi conserva. Grazie all’ausilio di antiche stampe, di fonti storiche e leggendarie, in pochi minuti, i bambini si appassionarono all’argomento, poiché si sentivano coinvolti alla scoperta della realtà concreta in cui vivono. Momento culmine fu ripercorrere l’assedio longobardo del 568 e l’ingresso in città da parte di re Alboino: la leggenda del cavallo inginocchiato alle porte di Ticinum e quella della colomba pasquale, che la tradizione vuole essere stata inventata proprio in quella occasione, infiammò di passione gli studenti. Successivamente si focalizzò lo studio sull’estensione geografica del regno longobardo e sulla conversione di tale popolo al cristianesimo, analizzando i motivi per i quali si legarono alla figura dell’Arcangelo tanto da costruire diversi santuari dedicati a lui (famosissimo quello di Monte Sant’Angelo sul Gargano) e da porne l’effigie addirittura sulle monete. Inevitabilmente ci si addentrò con passione e stupore nell’ambito dell’etimologia e del simbolismo: gli alunni ponevano domande sempre più precise e circostanziate e, inaspettatamente, ricordavano, senza particolare fatica, termini latini, greci, persino ebraici!


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Si giunse poi ad analizzare la nostra basilica, tenendo conto che quella attuale, se non nella sezione inferiore del campanile, è successiva ai longobardi, risale infatti al 1100. Dapprima gli allievi presero familiarità coi numerosissimi simboli che caratterizzano il monumento, le parti architettoniche e i rilievi scultorei, attraverso lezioni preparatorie durante le quali si mostravano e si spiegavano agli allievi le varie componenti; inoltre si raccontò la storia della basilica, sede dell’incoronazione dei re longobardi ed italici. Quest’ultimo aspetto permise di conoscere alcune importanti figure storiche, prima fra tutte quella di Federico Barbarossa, incoronato a San Michele nel 1155 e ritratto in un affresco della volta. Gli alunni, dopo una corposa parte preparatoria, si ritrovarono così ad avere un bagaglio di competenze che permetteva loro di affrontare con successo e consapevolezza la visita al monumento che, per alcune classi, fu virtuale, in ottemperanza alle norme anti Covid: sapevano leggere i simboli sulla facciata e sulle strombature dei portali, avevano interiorizzato il concetto di “Diavolo”(dal greco “dia - ballo” divisione dal bene, ossia da Dio), riconoscevano la funzione anche politica dell’arcangelo Michele (Mikael in ebraico), che, col significato del suo nome, ricordava, innanzitutto al sovrano che nessuno è come Dio. Suggestivo fu ripercorrere, solo virtualmente, il percorso compiuto del re durante la cerimonia di incoronazione: entrava dal portale nord, riceveva la corona ferrea, gioiello longobardo, assiso in trono, nella navata centrale, seguiva la cerimonia nella cappella palatina ed usciva dalla porta sud, detta speciosa; ogni spostamento aveva un preciso significato, con messaggi chiari per il sovrano che veniva esortato, dai rilievi scultorei, ad essere giusto, magnanimo e timoroso di Dio, l’unico sovrano della Storia. I capitelli, a tal proposito, meritano una menzione specifica: raffigurano, con dovizia di particolari, scene, per lo più vetero testamentarie, il cui tema ricorrente è la lotta bene contro male; quelli che il re vedeva meglio nel momento dell’incoronazione sono la morte del giusto (la cui anima viene da San Michele strappata al diavolo) e la Giustizia divina, dunque sembrano quasi parlargli: “Re, sii giusto! Arriverà anche per te la tua ora e sarai soggetto al giudizio divino”. Un altro elemento che ha colpito profondamente i giovani studenti fu il mosaico del presbiterio, conservato solo in parte, ma il cui originale si poté studiare grazie ad un disegno conservato alla biblioteca vaticana: rappresenta l’anno in trono attorniato dalla personificazione dei dodici mesi, ciascuno identificato con l’attività contadina che lo contraddistingue. I bambini si divertirono parecchio a riconoscerli, come ad individuare, nel labirinto sottostante, gli ennesimi simboli sacri e profani della lotta bene – male. Una doverosa ultima menzione va al Crocifisso di Teodote, il crocifisso monumentale argenteo più antico pervenutoci, risalente alla seconda metà del X secolo: gli alunni rimasero colpiti dallo sguardo sereno di Gesù nel momento del supplizio: ciò permise di spiegare l’antica consuetudine (ancora attuale fra gli ortodossi), di mostrare la croce come momento di gloria, preludio della risurrezione; tale tradizione in Occidente venne superata a partire dai crocifissi sofferenti, nel loro pieno lato umano, a partire da Cimabue e Giotto. Dopo essersi immersi in tanta ricchezza storica ed artistica, disegnarla fu una conseguenza naturale: gli allievi con il loro entusiasmo e la loro vitalità, realizzarono gioiosamente una guida per giovani turisti che è utile anche per gli adulti, al fine di poter riscoprire un tesoro con gli occhi puri ed entusiasti dei bambini.


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Tra Irc, storia dell’Arte e valorizzazione dei beni storico-architettonici di un territorio. “Viaggio alla scoperta di Laveno: i luoghi dell’anima”.  di PAOLO BELLINTANIdocente nella Scuola Secondaria di II grado
Cercherò, con questo mio articolo, di delineare i punti focali di un progetto, nato dalla passione per la propria professione di un gruppo di insegnanti dell’ISIS “Città di Luino-Carlo Volontè”, che si è felicemente realizzato con l’attenzione di una Comunità Pastorale (Comunità Pastorale Maria Madre della Chiesa di Laveno-Mombello, (Va), d’ora in poi CP) per i propri beni storico-architettonici e la loro valorizzazione turistica; e tutto questo in uno specifico territorio sulla sponda lombarda del lago Maggiore. Il progetto è sorto nell’ambito dell’indirizzo “Turismo” del mio Istituto e tra alcuni docenti del medesimo. In particolare: Irc, Arte e Territorio, Storia e Letteratura, Geografia Economica, Diritto, Lingue Straniere. Come si può notare il plafond di discipline coinvolte è assai ampio ed infatti uno dei problemi di questa tipologia didattica è il coordinamento dei docenti e dei programmi delle varie discipline che devono momentaneamente focalizzarsi su un nucleo di argomenti peculiari e determinati dall’ambito di intervento. Il progetto è stato realizzato durante il tempo di Alternanza Scuola-Lavoro che ha visto impegnati gli studenti, i docenti e altri esperti della Comunità Pastorale fatti intervenire prima e durante l’esperienza didattica. Vari gli step sviluppati. A mò di esempio ne elenco alcuni: ) Scelta e prima progettazione del percorso; ) discernimento delle classi da coinvolgere nel percorso e formazione dei gruppi alunni;
Egidio Casarotti, i padri del Conc.Vat.II°, opera in cotto di grandi dimensioni, Laveno chiesa di S.Ambrogio, lunotto esterno transetto di sinistra. Ricoscibili in 1°piano: al centro Papa Giovanni XXIII, alla dx. il card. Giovan Battista Montini e a sx.il card. Gregorio Pietro Agagianiàn, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli (1960-1970)


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1) lezioni di preparazione in classe nelle varie discipline; 2) lezioni di approfondimento sull’argomento da parte di esperti dei vari settori disciplinari coinvolti ( dell’architetto, degli storici, degli esperti di turismo religioso, di tutela dei beni ambientali, delle guide locali, di Enti e fruitori del turismo); 3) visite precedenti ai monumenti, guidate dagli insegnanti e dagli esperti locali; 4) approntamento di locandine e brochures plurilingue e uso degli strumenti digitali per la valorizzazione dei monumenti; 5) presentazioni e pubblicità dell’Alternanza Scuola Lavoro. Di rilievo, tra gli altri, è stato l’intervento e il coinvolgimento di s.ecc. il vescovo, mons.Carlo Mazza, esperto della CEI e docente di Turismo religioso che ha svolto una lezione alle due classi coinvolte ed ha in seguito visitato uno dei monumenti romanici in cui i nostri alunni hanno lavorato in veste di guide, cioè la chiesa di San Defendente, risalente al IX secolo d.C. La visita a questo monumento è stata memorabile, il Vescovo infatti ha potuto ridare un nome ad una santa (Eurosia), raffigurata in un antico dipinto, di cui la Comunità Pastorale aveva perso memoria e nome. Una piccola grande scoperta favorita da questa esperienza didattica. In questa Chiesa vi aveva svolto, nel luglio 1990, una notevole conferenza sullo stile romanico uno storico dell’arte di livello mondiale come sir Ernst Gombrich: per l’antichità e la rilevanza storico artistica è stata una delle tre chiese della CP prescelte dal Progetto. Gli altri due edifici sono stati: la chiesa di S.Maria in Cà Deserta (progettata nel ‘700 dall’architetto Gioacchimo Besozzi) dal solenne profilo neoclassico e l’imponente chiesa di S.Ambrogio (disegnata e costruita nel ‘900 dall’architetto Paolo Mezzanotte). Per la chiesa di S.Maria in Cà Deserta segnalo alcuni avvenimenti gestiti dagli studenti e dai docenti: innanzitutto la visita guidata delle classi terze della scuola Media di Laveno e delle classi quinte del locale Liceo ambientale; infine una serie di concerti serali eseguiti nella stessa chiesa. Adiacente a tale edificio si trovano due monumenti di rilievo per la CP lavenese, studiati e presentati dagli studenti: la lapide dedicata a don Giovan Battista Vegezzi e il monumento funebre in arenaria a sir Harry Trelawny. Infine la terza chiesa scelta è stata quella dedicata a S.Ambrogio, con gli interni affrescati da Innocente Salvini negli anni seguenti il Concilio Vaticano II°; all’esterno è abbellita con formelle e grandi pannelli in cotto, opera dello scultore Egidio Casarotti. Non è possibile qui, per ragioni di spazio, valutare nè analizzare gli esiti immediati e/o su lunga distanza di questa esperienza didattica. Basti qui ripetere ciò che il prof. Elio Damiano, docente di didattica all’Università di Milano, era solito ripetere alle sue lezioni: “Quello che più apprende durante le lezione non è lo studente ma il docente”. Ecco come docente posso dire di avere appreso molto da questa esperienza in termini di conoscenza-comprensione degli alunni, come anche in ambito storico-artistico e turistico-territoriale, e senza dubbio in termini teologico-pastorali.
S.Defendente a Ceresolo di Laveno, secc. IX°- X°. Incisione a stampa 1986 di E.Passerella.


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