I sincacati sono i promotori della giustizia sociale, per i diritti degli uomini del lavoro, nelle loro specifiche professioni. La lotta per i diritti è un normale adoperarsi per il giusto bene; non è una lotta contro gli altri(cfr. Giovanni Paolo II Laborem Exercens, 20)
I sindacati sono promotori della lotta per la giustizia sociale!


L'INTERVISTA di M. BergamaschiDott. Stefano Gorla. La valutazione nella scuola primaria. Possibilità e riflessioni.
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APPROFONDIMENTO : a cura di D. De Laurentiis.La valutazione pre-scolare nella scuola dell’infanzia.
L'INTERVISTA a cura di P. Bellintani Dott. M.P. Giovannoni, ISSR Toscana
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IN QUESTO NUMERO
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Anno II - n. 3 - marzo 2021 Pubblicato su www.magglance.com/uilscuolairc
DIRETTORE Giuseppe Favilla REDATTORE CAPOMonica Bergamaschi REDAZIONEPaolo Bellintani (1°redattore)Monica Bergamaschi Diletta De LaurentiisGiuseppe Esposito Giuseppe Favilla Marcello GiulianoPasquale Nascenti Mariella PompeiAndrea Robert Elena Santagostini Francesco Sica Antonio Vitale Ha collaborato: Mirko Campoli
GFEDITING2021
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L'INTERVISTA di M. PompeiDott. Daniele Novara, pedagogista.


EDITORIALE
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VALUTARE=VALORIZZARE?di Giuseppe Favilla*
CONSIDERAZIONI a cura di M. Giuliano La ventennale ossessione per la didattica per competenze
NORMATIVA a cura di P. NascentiLa nuova valutazione nella scuola primaria. Una novità?
ESPERIENZE a cura di M. CampoliNoi Irc in attesa di Buone notizie
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La valutazione ha per oggetto il processo di apprendimento, il comportamento e il rendimento scolastico complessivo degli alunni. La valutazione concorre, con la sua finalità anche formativa e attraverso l'individuazione delle potenzialità e delle carenze di ciascun alunno, ai processi di autovalutazione degli alunni medesimi, al miglioramento dei livelli di conoscenza e al successo formativo, anche in coerenza con l'obiettivo dell'apprendimento permanente di cui alla «Strategia di Lisbona nel settore dell'istruzione e della formazione» (DPR 122/2009 art. 1 comma 3) Ho voluto riportare in premessa il leitmotiv del nostro numero di marzo, interamente dedicato alla valutazione, nello specifico la valutazione dell’IRC e la valorizzazione del bambino e della bambina, dello studente e della studentessa. I processi di apprendimento, propri per ciascuna fascia di età, si caratterizzano anche per la peculiarità con cui è prevista la valutazione, che può essere espressa in un giudizio descrittivo, così come avviene nella scuola primaria (art. 1, comma 2–bis legge 41/2020) oppure in una “misurazione” con voto in decimi nella scuola secondaria. Coordinatore Nazionale UIL Scuola IRC
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APPROFONDIMENTO a cura di E. Santagostini La valutazione nel metodo Montessori  
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linguaggio comune, così come nello stile di vita di ogni persona. Tutti, ognuno a proprio modo, abbiamo dovuto fare i conti con una realtà che si imponeva come minacciosa, soprattutto per gli anziani, la categoria più colpita nella prima ondata pandemica. Attraverso altre successive determinazioni di legge (decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, articolo 1, comma 2, lettera p e Legge 6 giugno 2020, n. 41, all’articolo 2, comma 3), la didattica a distanza, per lunghi mesi, è diventata l’unica modalità possibile per continuare a “fare scuola”. Un anno di riflessioni, studi, dibattiti, posizioni sindacali di vario genere, hanno accompagnato quel modo di insegnare da casa o da scuola che vede la presenza a distanza o la distanza in presenza del 50% o 100% degli studenti della classe o della scuola. Un enigma senza soluzioni nette, quello che si chiede se la didattica a distanza sia una vera didattica che si possa, in stato di emergenza, sostituire alla didattica tradizionale; se la didattica a distanza possa essere integrata con quella in presenza e dunque diventare didattica digitale integrata. La Didattica a Distanza e la Didattica Digitale integrata chiedono di essere considerate e valutate come una nuova possibilità di didattica. A parere di chi scrive, né l’una né l’altra si possono però, configurare come nuova metodologia per l’apprendimento dei saperi e per lo sviluppo delle competenze e soprattutto possono risultare non sempre utili per lo sviluppo cognitivo e il rafforzamento delle conoscenze di base nelle bambine e nei bambini. Un’affermazione, la mia, che desterà non poche prese di posizione contro e a favore, ma rappresenta quanto, da un anno ormai, attraverso diversi spunti e riflessioni, credo di poter difendere e giustificare: la didattica a distanza e le sue nuove formulazioni, rappresentano solamente una modalità di insegnamento emergenziale e che dovrà essere collocata a riposo una volta terminata la crisi pandemica. Insegnare, come ha affermato, in uno dei sui studi, Massimo Recalcati, noto studioso e psicanalista, è altra cosa, cosa diversa dalla didattica a distanza. Le ore di lezione a scuola portano con sé avventure, incontri, esperienze intellettuali ed emotive profonde. In una recente intervista ad Orizzonte Scuola, Recalcati ha affermato: “Non c’è dubbio che la vita della scuola implica i corpi, l’esistenza di una comunità in presenza. Ed è indubbio che la DAD sia stata una faticosissima supplenza all’impossibilità dell’incontro in presenza”, malgrado ciò, è innegabile, la didattica a distanza è stato strumento prezioso per una volontà precisa che non si arrende davanti all’imprevisto. La didattica digitale integrata, a cui nello scorso mese di luglio, attraverso le linee guida, è stata data un’anima pseudo pedagogica, non può sostituire la valenza di un incontro, di uno sguardo, di una relazione empatica tra docente e studente che lasciano sempre un segno nella formazione e nella crescita della persona, ma ha avuto il merito di mostrare il volto di una comunità educante che non si lascia fermare e che accetta la sfida e si offre come esempio concreto. Le linee guida citate definiscono la didattica digitale integrata, intesa come metodologia innovativa di insegnamento-apprendimento, rivolta a tutti gli studenti della scuola secondaria di II grado, come modalità didattica complementare che integra la tradizionale esperienza di scuola in presenza, e ne estendono il valore, in caso di nuovo lockdown, agli alunni di tutti i gradi di scuola. La didattica digitale integrata, prevede anche una presenza fisica degli studenti in classe, in una percentuale minima/massima del 50%; si tratta dunque di una successiva rimodulazione dell’insegnamento che richiede che “La progettazione della didattica in modalità digitale tenga conto del contesto e assicurare la sostenibilità delle attività proposte e un generale livello di inclusività, evitando che i contenuti e le metodologie siano la mera trasposizione di quanto solitamente viene svolto in presenza”. Ci siamo trovati in poco tempo nel totale stravolgimento di tutte le teorie di apprendimento, mutuando sic et simpliciter quanto sviluppato negli ultimi anni dalle Università Telematiche in qualche cosa di ordinario e continuativo nel tempo.
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Entrambi i metodi di valutazione hanno come scopo quanto previsto dal DPR 122/2009 “valutare il processo di apprendimento” insieme al comportamento e non ultimo “il rendimento complessivo” degli alunni e alunne. Una valutazione, dunque, che  non si ferma alla mera verifica di conoscenze di concetti, ma che valorizza tutto il percorso dell’attività didattica. Almeno tre sono i momenti di cui la valutazione deve tener conto: 1)l'approccio ai singoli insegnamenti, nella parte degli elementi fondativi e dei concetti essenziali ma anche di quelli più approfonditi, che si traduce in 2) un rendimento misurato o comunque collocato in una griglia di valutazione attraverso l'uso di giudizi; ciò vale per la scuola primaria in particolare e per l'IRC in generale. 3)Non ultimo, come terzo elemento strategico, la valutazione del comportamento, come strumento necessario ed indispensabile per veicolare le conoscenze. La domanda, a questo punto, nasce spontanea: un alunno che manifesta problemi disciplinari anche seri, può raggiungere gli obiettivi formativi, dunque il successo formativo? Ebbene a questa domanda non possiamo che rispondere positivamente. Di certo sarà necessario tenere presente un elemento essenziale, spesso trascurato: l’autovalutazione! Le potenzialità degli alunni più difficili potrebbero sfuggire alle procedure standard di valutazione, che finirebbero per rivelarsi inefficaci. Scopo della valutazione non è misurare la bravura del docente, bensì valorizzare lo studente stesso, individuando, come afferma lo stesso DPR, le “potenzialità degli alunni medesimi” ed i primi conoscitori delle proprie potenzialità sono proprio gli stessi studenti. Il numero di Agorà IRC di questo mese ci permette di approfondire la questione da tanti punti di vista. L’intervista al dott. Daniele Novara, pedagogista, consulente e formatore, e direttore del Centro Psicopedagogico per la Pace e per la gestione dei conflitti (CPP) di Piacenza, ci introdurrà al complesso mondo della valutazione e dell’approccio del minore nel contesto educativo scolastico. Concludo questo editoriale con una domanda: quali sono le sfide per un docente davanti al proprio discente: occorre concentrarsi sul programma da finire o adoperarsi per garantire il successo formativo? Come docente di religione cattolica non posso che accettare con maggiore impegno la seconda sfida perché cosciente che valutare non è che una parte di un processo più ampio chiamato apprendimento, quella piccola parte che mira alla verifica dei progressi e alla valorizzazione dello studente e della studentessa, da essi il docente è chiamato a trarre il meglio al fine di poter garantire il loro successo formativo. In quest'ottica di valorizzazione si pone anche la questione dei docenti di religione incaricati annuali, che per lunghi anni hanno profuso impegno, passione e dedizione ai quali va riconosciuto il merito oggettivo della professionalità acquisita. Pensare per loro un concorso selettivo che valuterà delle mere conoscenze ci sembra miope, iniquo e ingiusto!


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Dott. Stefano Gorla. La valutazione nella scuola primaria. Possibilità e riflessioni. di MONICA BERGAMASCHI docente nella Scuola Secondaria di Secondo Grado
Il nuovo protocollo valutativo proposto per la scuola primaria si inserisce nel cammino di riforma pedagogico-didattica, iniziato nella scuola a partire dalle Indicazioni Nazionali del 2012, che tende a sottolineare il carattere formativo della valutazione. La valutazione periodica e finale nella scuola primaria, a partire dall'anno scolastico 2020/2021 è, dunque, espressa con un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione, in prospettiva formativa e in conformità con i
L'INTERVISTA
criteri e le modalità definite dal collegio dei docenti e inseriti nel PTOF. Abbiamo il piacere di intervistare il Dottor Stefano Gorla, Dirigente Scolastico dell’IC Cavour di Pavia.
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1. Dottor Gorla, vorremmo approfondire con lei il ruolo della religione cattolica nel contesto delle nuove proposte, cosa prevede la normativa? Il Ministero dell’Istruzione, in data 4 dicembre 2020, ha pubblicato l’ordinanza 172 sulla valutazione periodica e finale degli apprendimenti nella scuola primaria, con le relative linee guida e una nota, 2158, contenente le indicazioni operative. Da questi documenti si deduce che, allo stato attuale, non è prevista per l’IRC la formulazione di un giudizio descrittivo come valutazione periodica e finale degli apprendimenti nella scuola primaria, ma viene accolta la soluzione per un giudizio sintetico, che resta disciplinato dall’art. 2, commi 3 e 7, del decreto legislativo n. 62 del 13 aprile 2017. In questo senso “rimangono invariate le modalità per la valutazione dell’insegnamento della religione cattolica”, che è comunque manifestata su una nota distinta, con un giudizio sintetico sull’interesse manifestato e i livelli di apprendimento conseguiti.
Per IRC sussisteva  il divieto di voto derivato dalla legge 824/30 che all’art.4 stabilente che in “in luogo di voti ed esami (per l’irc – ndr) viene redatta a cura dell’insegnante e comunicata alla famiglia una speciale nota, da inserire nella pagella scolastica”. Questa formula è stata recepita nel Testo Unico del 1994 (art. 309, c.4). 2. Dott. Gorla, a una prima lettura, molti si sono affrettati ad affermare che le modalità per la valutazione dell'Irc rimangono invariate. Forse, mossi dal sospetto circa le nuove proposte di valutazione, ci si è ancorati al rassicurante “non cambia nulla”, qualcuno però ha iniziato a domandarsi se nella valutazione degli obiettivi di apprendimento ricavati dalle Indicazioni nazionali e inseriti nel curricolo verticale IRC delle singole scuole, fosse possibile


proporre i criteri utilizzati per i tradizionali giudizi sintetici utilizzati per l’IRC, in modo da favorire l'accostamento ai nuovi quattro livelli introdotti. Lei cosa ne pensa? In riferimento alle circolari ministeriali n. 20/1964 e n. 491/1996, finora gli schemi adottati in ogni ordine e grado di scuola di molte istituzioni scolastiche presentavano dei giudizi sintetici per la valutazione periodica e finale dell’IRC che possiamo correlare facilmente con i livelli previsti dalla nuova normativa nel modo seguente: Eccellente (= 10 – Livello avanzato) Ottimo (= 9 – Livello avanzato) Distinto (= 8 – Livello intermedio) Buono (= 7 – Livello intermedio) Sufficiente (= 6 – Livello base) Non sufficiente (= 1-5 – Livello iniziale, in via di prima acquisizione) Tuttavia la situazione pone l'occasione per considerare il ruolo della disciplina IRC in correlazione con le altre curriculari per esaminare la questione del pieno riconoscimento sul piano della equiparazione. Si impone pertanto una riflessione per la individuazione condivisa di DESCRITTORI (o Giudizi Descrittivi) da correlare con i 4 LIVELLI indicati dal Ministero, collegati a monte con i TRAGUARDI degli Obiettivi (o Nuclei Tematici).3. La nuova avventura valutativa, che si pone l'obiettivo di rendere visibili gli apprendimenti e i processi ad essi connessi, tenendo presente i traguardi delle competenze, non sembra avvicinarsi molto a una strada intrapresa dall'insegnamento della religione cattolica già da tempo? Nel tempo il focus della valutazione è passato da una funzione sommativa allo sviluppo del processo educativo, inserito nella relazione di insegnamento/apprendimento tra docente/alunno. Ne deriva che il giudizio non può essere una semplice sommatoria, ma deve raccogliere più informazioni possibili per poter rilevare la distanza tra gli obiettivi prefissati dal docente e i traguardi conquistati effettivamente dallo studente. Considerando che l’unico vincolo di legge per la valutazione dell’Irc è il divieto di voto numerico e pertanto qualsiasi giudizio verbale è lecito,  purché espresso in modo sintetico e globale, ritengo sia possibile per i docenti di IRC proporre al Collegio Docenti di adeguare la scala dei giudizi della disciplina attraverso un insieme di obiettivi correlati ai livelli indicati dalla OM 172/2020.4. Quali vantaggi potrebbe avere una tale equiparazione? Tale adeguamento del giudizio dell’Irc a quello delle altre discipline consente di avere una continuità valutativa e una più immediata comunicazione dei livelli di apprendimento, in un orizzonte di sviluppo delle competenze dell’alunno. Dare una valutazione formativa per giudizi chiari ed espliciti, unitari tra tutte le discipline, permette di semplificare la valutazione e la comunicazione dei risultati di apprendimento, nell’ottica di sviluppare competenze trasversali.
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CONSULTA LA SCHEDA A PAGINA 11


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Prof. Daniele Novara, pedagogista di MARIELLA POMPEI docente nella Scuola Secondaria di Primo Grado
DANIELE NOVARAHa lavorato in campo sociale durante il periodo del servizio civile promuovendo un centro di accoglienza per soggetti emarginati. In seguito, si è sempre occupato di educazione, formazione, progettazione pedagogica e metodologie per l'apprendimento. Pedagogista, consulente e formatore, è direttore del Centro Psicopedagogico per la Pace e la
L'INTERVISTA
gestione dei conflitti (CPP) di Piacenza, da lui fondato nel 1989. Ha ideato la mostra interattiva Conflitti, litigi e altre rotture per ragazzi dagli 11 ai 16 anni e gli spettacoli interattivi “Anna è furiosa” per bambini dai 5 ai 10 anni e “Cosa Vuoi da me, papà” rivolto agli adolescenti dai 15 ai 18 anni. Dirige il trimestrale “Conflitti”, rivista italiana di ricerca e formazione psicopedagogica. Negli ultimi anni si è concentrato nella predisposizione di una nuova modalità di aiuto nella gestione dei conflitti: la consulenza maieutica. Da questa iniziativa è nato il Corso di Specializzazione del CPP e il corso annuale sul Colloquio Maieutico. È impegnato nella concretizzazione del metodo maieutico come nuovo strumento di formazione e di apprendimento. Ha ideato il metodo “Litigare bene” per la gestione maieutica dei litigi tra bambini. È responsabile scientifico della Scuola Triennale di Formazione Maieutica del CPP e della Scuola Genitori del CPP (diffusa in varie città e territori italiani). È responsabile scientifico del CFPP di Lecco e responsabile pedagogico del network di Nidi e Centri per l'Infanzia Doremibaby di Milano. Ha all’attivo diverse pubblicazioni e contribuiti alla formazione di docenti e dirigenti, non solo in Italia, ma anche oltre i confini Europei.
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Dinanzi ad una svolta storica che riporta la valutazione in chiave formativa, ben s’inserisce questa intervista al prof. Daniele Novara, grande pedagogista di fama mondiale. Personalmente, ma anche a nome della redazione della rivista Agorà IRC, rivista on-line dei docenti di religione, lo ringrazio per la sua disponibilità e per il suo ricco contribuito.1)Gentilissimo Prof. Daniele Novara, negli ultimi documenti ministeriali si parla di Valutazione formativa, almeno per la Scuola Primaria, cosa vuol dirci in merito? La valutazione formativa che propone il Ministero è un passo avanti rispetto ad un tipo di valutazione molto comparativa ed assolutistica proposta dalla scuola italiana per decenni, basandosi su un’idea agonistica, che il voto numerico ha sempre contribuito a cristallizzare. Sicuramente un passaggio positivo che, in qualche modo, ci riporta ai migliori anni della scuola italiana, gli anni 70’. La prima scuola al mondo che aboliva le classi differenziali, le classi per disabili, introducendo il tema dell’integrazione scolastica.
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Mi preme ricordare, in questo momento, il periodo in cui entrarono i Decreti delegati del 1974, che hanno introdotto nella vita della scuola una rappresentanza dei genitori, del personale ATA, e degli studenti,  in quegli anni si è assistito ad un’apertura al tessuto sociale. Oggi siamo di fronte a un cambiamento significativo, viene eliminato il voto numerico, sostituito da una cosiddetta valutazione evolutiva, restano purtroppo i voti numerici nella Scuola Secondaria di I Grado e ovviamente nella Scuola Secondaria di II Grado.  L’ITALIA deve ancora progredire, in merito alla scuola, da un punto di vista didattico. In molti Stati sono presenti Facoltà, con Lauree Triennali che preparano allo svolgimento di tante professioni pratiche, senza dover tediare gli studenti con studi particolarmente teorici, creando occasioni perché una ragazza o un ragazzo possano imparare qualcosa di specifico Stiamo parlando di Paesi che sono tra i più ricchi al mondo, diciamo che l’Italia è molto più portata ad esportare i cervelli migliori, piuttosto che a mantenerli. 2) Ancora adesso, alcuni insegnanti, ma anche alcuni genitori, hanno difficoltà a comprendere l’importanza di una valutazione formativa. Cosa direbbe a quanti si sentono ancorati ad un sistema di valutazione numerico? Purtroppo c’è poco da dire, sono sostenuti dalla burocrazia scolastica, forse bisognerebbe cambiare tutto questo. Il voto è un orribile strumento di valutazione, l’insegnante dovrebbe dissociarsi dall’uso proprio dei voti numerici, cioè da un uso quasi ‘giudicante’, da un uso etichettante, perché così si uccide la speranza scolastica. Specialmente non c’è niente di più antitetico alla vera valutazione scolastica che l’utilizzo della media. Un ragazzino che prende un due al primo quadrimestre di una secondaria di I grado, ad un secondo quadrimestre può anche smettere di studiare, perché non ha nessuna motivazione a studiare, perché, in base alla media, non ha alcun modo di poter recuperare.  Il vero problema di fondo è che almeno da un ventennio, non c’è più una vera preparazione pedagogica alla professione, al punto che,  oggi alle scuole secondarie è sufficiente avere una laurea sulla materia per essere inseriti subito come insegnanti. Il caso delle MAD, una delle situazioni più imbarazzanti in assoluto, è un’amara realtà, così come gli stipendi bassi degli insegnanti che finiscono col legittimare queste forme di scarsa professionalità. Viceversa dev’esserci un investimento non solo sui processi di valutazione, ma in primis sulla capacità di organizzare processi di apprendimento efficaci, coinvolgenti, partecipativi, che garantiscano il protagonismo degli alunni, e non la loro passività. Nel modello gentiliano che ancora domina, l’unica cosa che  l’alunno deve fare è solo e sempre ascoltare, quindi siamo fermi al 1924, in piena epoca fascista. È un vero guaio che tale riforma gentiliana elitaristica, perché di questo si tratta, non sia mai stata toccata da nessuno, né dai ministri di destra, né dai ministri di sinistra, come se questa riforma scolastica, vertigine di filosofismo scolastico, dovesse permanere in eterno, quando l’Europa sta andando in tutt’altra direzione. Dal confronto con dei colleghi in Olanda, viene fuori che l’età media degli insegnanti è sotto i 40 anni, ci sono tanti insegnanti di 22, 23 anni, trovare insegnanti così giovani in Italia è davvero difficile. In Italia si vengono a creare delle strozzature, che non hanno a che fare con la professione. Purtroppo la scuola italiana ha sempre viaggiato su un binario parallelo rispetto alla storia della pedagogia, così come alla storia della filosofia. Non c’è nessuno dei miei colleghi, del passato e del presente che abbia sostenuto o che sostenga che la lezione frontale sia un metodo didattico. Nella storia della pedagogia, la lezione frontale praticamente non esiste. Nelle nostre scuole italiane, entrando nelle classi sentiamo gli insegnanti che fanno


lezione, gli alunni devono solamente ascoltare, ascoltare, ascoltare, secondo me questo è un incubo, non è una scuola. Per cui, prima ci liberiamo di questo incubo, meglio è. L’Europa, quella civile se n’è già liberata da tempo, e noi cosa aspettiamo, ci piace vivere nel passato?3) Nel 2020, abbiamo festeggiato i 150 anni dalla nascita di M. Montessori e il Centenario di Gianni Rodari, due grandi pedagogisti della Scuola Italiana, in base alla sua esperienza di Pedagogista, la scuola italiana rispecchia i loro ideali di scuola? Nello specifico, cosa conservare? Cosa andrebbe cambiato? Maria Montessori, nonostante si sia laureata in medicina, ha lavorato tutta la vita come pedagogista e ha elaborato come modello educativo, uno dei più importanti nella storia della pedagogia, ossia quello basato sulla sensorialità dei materiali, che permette a dei bambini, anche con gravi disabilità, di imparare a leggere e scrivere proprio attraverso l’utilizzo dei materiali, sviluppando una procedura che scientificamente è stata approvata ed è  continuamente confermata. Nel caso di Gianni Rodari, lui non ha elaborato una metodologia scolastica, il suo contributo è quello di offrire alla scuola, agli insegnanti, l’idea della necessità di sviluppare nei bambini e nei ragazzi, l’elemento creativo, di tirar fuori dai bambini, dai ragazzi, tutto quello che è la fantasia, tutto quello che è il background neuro cognitivo di intelligenza, di divergenza, di sconfinamento rispetto a quella che è la routine, il nozionismo e la pura e semplice risposta esatta. Sono due giganti italiani, famosissimi a livello Internazionale, che si collocano su due versanti diversi, dal punto di vista tecnico ovviamente, ma con un unico orientamento anche se non sembra si siano mai incontrati. Maria Montessori in realtà è stata molto più apprezzata all’estero che in Italia, se si pensa che in Italia ci sono circa trecento scuole montessoriane mentre in Germania ce ne sono cinquemila, il dato numerico rende bene l’idea. Scuole montessoriane si trovano davvero in tutto il mondo, e questo diciamo che all’inizio della mia carriera di pedagogista mi ha impressionato, nei miei viaggi, in Irlanda, nelle Favelas Brasiliane, nelle Filippine, ovunque trovavo le scuole montessoriane, senza neanche cercarle. Un’esperienza importante è stata l’essere stato invitato, intorno al 1990, da una nipote diretta di M. Montessori, René Montessori, a tenere un corso di formazione, in cui tutte le direttrici di scuola presenti, erano provenienti da scuole montessoriane del mondo. Un’esperienza che lascia senza fiato, trovare tante rappresentanti di tutte queste scuole montessoriane, provenienti da tutto il mondo, anche dai posti più remoti, come l’India, il Pakistan, un metodo che attraversa le religioni, che attraversa le culture, un metodo eccezionale. Questo ci fa comprendere come i bambini sono uguali, ovunque, in qualunque parte del mondo, i bambini sono bambini. Così com’è stato geniale Rodari, a capire che i bambini sono dei narratori per antonomasia, in loro c’è un pensiero narrativo, non un pensiero logico razionale. Mi sento, però, di ricordare che ancor prima di Rodari, in Italia abbiamo avuto anche Collodi, un gigante assoluto, perché Pinocchio è un capolavoro irraggiungibile, una storia che più la si legge, più è una storia che emoziona, e non si capisce come l’autore abbia potuto inventare una cosa del genere. Collodi morirà, senza sapere la grandiosità di questa sua opera, senza accorgersi di aver fatto un capolavoro, perché muore prima che Pinocchio avesse il successo che ha avuto. Per molto tempo Collodi è rimasto legato al suo personaggio Giannettino, ma cosa molto limitata, rispetto a quella grandiosità che sarà poi Pinocchio. Non possiamo neanche dimenticare di menzionare Walt Disney. Grande anche Mario Lodi con Cipì, un capolavoro indubbiamente, ed è una storia fatta con con dei bambini, forse una delle prime  ->
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volte che un maestro delle elementari scriverà una storia con i suoi bambini. G. Rodari ha scritto molte cose, molti sono dei capolavori, ma non c’è, per così dire, il capolavoro assoluto di Pinocchio.  4) Nel suo libro “Cambiare la scuola si può”, lei parla di una valutazione evolutiva, come di un nuovo modello pedagogico. Vuole spiegare ai nostri lettori in che cosa consiste questo nuovo modello? Il concetto di valutazione lo si può trovare, in modo particolare in due dei miei libri: “Non è colpa dei bambini” e “Cambiare la scuola si può”, entrambi editi dalla Rizzoli. Il concetto di valutazione evolutiva ha alla base l’idea che quando si deve valutare un apprendimento, non si possono valutare gli errori, perché l’errore è una modalità pessima per imparare, bisogna valutare i progressi. Ad esempio, se un bambino non sa leggere, verranno valutati i progressi in ordine alla lettura. Se un bambino non sa scrivere, prima si valuta che sappia scrivere in stampatello e poi in corsivo, questa è la valutazione evolutiva che valuta i progressi e non gli inevitabili sbagli o errori. Diversamente avviene oggi, per quanto riguarda le prove Invalsi, dove si devono inserire le crocette nelle risposte giuste, una sorta di scuola a quiz, quella scuola che ancora domina. Dunque, se si fa una valutazione evolutiva che tiene conto dei progressi, l’alunno viene incoraggiato. Se pensiamo, invece, alle prove invalsi, mi viene da dire che in questo caso l’alunno viene mortificato. Dobbiamo chiederci se vogliamo una scuola che sia una gara fra gli alunni, o una scuola in cui gli alunni vengano volentieri per imparare e migliorare quello che loro sanno fare, quello che loro sanno vivere, e quindi possano trovare nella scuola una sponda, un trampolino di lancio per affrontare le grandi sfide della vita, è questa la solita questione. Praticamente, la storia della pedagogia dà delle risposte a quanto ho esposto già prima. La storia della pedagogia, non vuole che ci sia una scuola degli errori, dell’agonismo competitivo fra gli alunni, assolutamente.
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CPP Centro PsicoPedagogico
www.cppp.it


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ART. 24 CCNL 2016 COMUNITÀ EDUCANTE
la scuola è una comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i princìpi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata dall’ONU il 20 novembre 1989, e con i princìpi generali dell’ordinamento
La valutazione pre-scolare nella scuola dell’infanzia.
di DILETTA DE LAURENTIIS docente nella scuola dell'Infanzia
Parlare di valutazione in un contesto educativo prescolare e non obbligatorio, potrebbe risultare stonato. Tuttavia, lo stesso ministero dell’Istruzione e varie norme governative hanno affrontato questo tema, riconoscendo all’attività di valutazione nella scuola dell’infanzia, così come specificato all'interno delle Indicazioni nazionali per il Curricolo del 2012 “una funzione di carattere formativo, che riconosce, accompagna, descrive e documenta i processi di crescita, evita di classificare e giudicare le prestazioni dei bambini, perché è orientata a esplorare e incoraggiare lo sviluppo di tutte le loro potenzialità”. La valutazione, dunque, precede, accompagna e segue i percorsi curricolari, assumendo una preminente funzione formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento continuo. La progettazione e la valutazione si pongono, così, come due facce della stessa medaglia, l'una non può esistere senza l'altra. La valutazione ha infatti lo scopo di verificare l'efficacia dell'azione educativa e i dati che emergono da tale valutazione dovranno essere utilizzati per ricalibrare la programmazione in base alle esigenze che man mano emergono, eventualmente individualizzando i processi di insegnamento per gli alunni con particolari difficoltà. Al fine di una valutazione obiettiva, in un ambito delicato come quello della scuola dell’infanzia, diventa fondamentale la raccolta di materiale documentario, come l’insieme degli elaborati grafici individuali e collettivi, che non solo fungono da operazione riassuntiva delle attività perseguite per le diverse unità di apprendimento, ma soprattutto costituiscono un prezioso contributo per documentare lo sviluppo delle conoscenze, delle abilità e della manualità acquisita gradualmente dal bambino. Una valutazione fondata sull’attenzione alla crescita e sui traguardi quotidiani raggiunti, ha come fine principale quello di far accrescere nei bambini la fiducia in se stessi, l’autostima e la motivazione ad apprendere. Inoltre, una valutazione mitigata dal solo intento di accompagnamento nella crescita, consente di avere di avere una visione unitaria del bambino, del suo processo formativo, portando il docente a non valutare solamente aspetti relativi alla conoscenza ma soprattutto a capire se e come sia in grado di utilizzare i propri saperi, le proprie abilità e se è in grado di trasferire e generalizzare quanto appreso in situazioni differenti.  Una particolare attenzione dovrà essere posta per la valutazione degli alunni diversamente abili: tale valutazione dovrà riferirsi al percorso individuale dell'alunno e non dovrà far riferimento a standard né quantitativi né qualitativi, ma dovrà essere finalizzata a mettere in evidenza i progressi dell'alunno. Tenuto conto, come sottolineato in precedenza, che nell’ambito formativo della scuola dell’infanzia non è possibile definire un’unica modalità di valutazione degli apprendimenti, saranno valutati non soltanto gli elaborati grafico-pittorici ma anche la comunicazione esaminando la formulazione di domande da parte del bambino o esposizioni orali come la narrazione di fiabe o eventi, interventi -->>


spontanei o la capacità di inserirsi in un semplice dialogo, analizzando le esercitazioni pratiche come l’organizzazione autonoma del proprio materiale o le abilità in attività come tagliare, incollare, colorare, concludendo con il considerare le capacità relazionali e sociali del bambino all’interno del gruppo classe. Affinchè sia oggettive e imparziale la valutazione dovrà essere effettuata attraverso strumenti riconducibili alle osservazioni sistematiche e occasionali che convoglieranno poi nella stesura di griglie create appositamente per la registrazione dei comportamenti osservati durante le attività quotidiane proposte. Per gli alunni di 5 anni, invece, la compilazione delle griglie di valutazione, sarà effettuata dopo aver assegnato prove strutturate (scelte all'interno delle riunioni di dipartimento) ad inizio anno, a metà anno e a fine anno. Si tratta di un documento denominato “scheda di passaggio” che permette di avere una visione globale del bambino nel contesto familiare, fornendo informazioni rispetto al nucleo di appartenenza e il livello di collaborazione nel contesto scolastico, valutando il comportamento e l’acquisizione delle competenze base. Quest’ultima sezione è suddivisa in base ai diversi campi di esperienza che caratterizzano il curricolo appartenente ad ogni scuola. Viene inoltre preso in esame il livello di attenzione, il ritmo di apprendimento, l’atteggiamento relazionale e l’impegno. Il documento interno consente il passaggio di informazioni tra la scuola dell’Infanzia e la scuola Primaria, favorendo così l’attuazione normativa della continuità tra i diversi ordini di scuola dello stesso istituto comprensivo. Ciò che deve però sempre risultare chiaro quando si tratta il difficile campo della valutazione, è che non bisogna mai dimenticare che è lo sviluppo del bambino, con le sue richieste ed esigenze, con i suoi compiti e i suoi problemi, con le sue anticipazioni e i suoi ritardi a fornire all’educatore il criterio valutativo e normativo del suo operato.
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SCHEDA SINTETICA VALUTAZIONE SCUOLA PRIMARIA


ART. 24 CCNL 2016 COMUNITÀ EDUCANTE
la scuola è una comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i princìpi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata dall’ONU il 20 novembre 1989, e con i princìpi generali dell’ordinamento
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dott. Marco Pietro Giovannoni Segretario Generale I.S.S.R. Toscana di Firenze
di PAOLO BELLINTANI docente nella scuola secondaria di II grado
Marco Pietro Giovannoni si è perfezionato in storia del cristianesimo presso la Facoltà di Storia Ecclesiastica della Pontificia Università Gregoriana, dove, nel 2000, ha discusso la tesi dottorale sotto la direzione del padre Giacomo Martina S.J. Fra il 2003 e il 2006 è stato educatore presso l'Associazione La Fonte di Sesto Fiorentino (FI), che si occupa del benessere e dell'integrazione lavorativa di persone portatrici di handicap. Dal 2007 al 2017 ha insegnato storia della Chiesa presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose "B.Gregorio X" di Arezzo. Direttore della rivista "Egeria", dal 2012 al 2018. E' docente stabile di storia del cristianesimo e delle chiese e Segretario generale dell'ISSR Toscana.
INTERVISTA
1) Può descriverci brevemente l'ISSR Toscana e in particolare l'indirizzo di Laurea in Scienze Religiose ?L'Istituto Superiore di Scienze Religiose della Toscana è una realtà molto giovane, nata quattro anni fa dalla fusione degli ISSR di Arezzo, Firenze, Pisa e Siena. Ha una offerta formativa piuttosto articolata, prevedendo dopo la laurea triennale in scienze Religiose 4 diversi indirizzi di laurea magistrale in scienze religiose. L'indirizzo in arte sacra (per la comprensione e la valorizzazione del patrimonio artistico religioso), cristianesimo e religioni (attento alla complessità plurireligiosa e orientato alla mediazione interreligiosa), pastorale-ministeriale (per la formazione pastorale e dei ministeri compreso il diaconato), pedagogico-didattico (per la preparazione dei docenti icr). Si tratta di un Istituto che sta scommettendo sul ruolo della teologia e delle scienze religiose per abitare la complessità che contraddistingue la nostra società e sulla apertura di nuovi profili professionali e si pone a servizio di una chiesa missionaria, ministeriale e sinodale. 2) Quali sono, dalla Vs. esperienza, le ragioni per cui un giovane appena diplomato può ragionevolmente iscriversi al Vs. ISSR ?Anche se al momento vi è richiesta di insegnanti di religione, molto realisticamente, la prima ragione per iscriversi ad un percorso universitario di teologia non può che essere la passione. L'esperienza ci dice che uno studio  ------>


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2) I titoli rilasciati dall'ISSR come possono oggi essere spesi nell'ambito lavorativo ? Che riconoscibilità c'è           di questi titoli nell'ordinamento italiano ed europeo/internazionale ? 2)    Il titolo in Scienze religiose è ad oggi riconosciuto dallo Sato italiano come titolo universitario. Gli studi all’ISSR sono studi di livello universitario, con crediti formativi omologabili ai corsi di altre università e in parte sovrapponibili ad altre competenze. Attendiamo però dal MIUR indicazioni più precise su quale tipo di laurea rappresenta, quale ambito del sapere ricopre come titolo, anche in vista della partecipazione a qualche concorso: laurea in filosofia, in scienze dell’educazione, in psicologia...Il MIUR si è impegnato a dare una risposta a breve. In base al processo di Bologna, a cui partecipa il Vaticano, i titoli in scienze religiose e in teologia sono a tutti gli effetti lauree universitarie. Nel mondo tedesco e anglosassone hanno una loro identità e dignità e corrispondono a competenze universitarie riconosciute. Esistono nelle università statali corsi di teologia e/o di scienze delle religioni che abilitano a vari mestieri (come il ruolo di pastori in comunità religiose o docenti di religione o altro…). Anche in Spagna si è giunti al riconoscimento.3) Perchè privilegiare l'iscrizione all'ISSR piuttosto che alla facoltà di Teologia ? Cosa contraddistingue lo    studio delle Scienze Religiose ? 3)    Gli ISSR nascono come formazione di una conoscenza critica della tradizione cristiana da mettere a confronto con le scienze delle religioni e quindi con altre ermeneutiche del fatto religioso (psicologia sociologia, filosofia) e con altre religioni (introduzione all’islam, all’ebraismo…). Invece le Facoltà teologiche vogliono formare teologi, esperti del sapere critico proprio della fede cristiana e quindi dedicati al logos della fede. In tal senso chiede di sapere ebraico, greco e latino, per leggere direttamente le fonti della fede e del sapere derivato (tradizione) a partire dai testi rivelati. Invece l’ISSR si pensa più proiettato nel confronto col pluralismo religioso che caratterizza le nostre società. Di fatto, nella sistemazione del nostro piano di studi, abbiamo deciso a Milano di condividere nel triennio uno studio esteso del sapere critico della fede come via per provare un percorso di conoscenza critica e ragionevole dell’esperienza religiosa cristiana a cui appartiene la nostra storia, per specializzarsi nel biennio in un confronto con altre ermeneutiche del religioso e altre religioni. E’ chiaro che il mutamento epocale che viviamo chiederebbe di rivedere lo spazio dato allo studio delle religioni e alla fenomenologia del religioso, dotandosi di nuovi approcci al fenomeno religioso in base all’organizzazione del sapere di livello universitario (antropologia culturale, studio dei sistemi simbolici, nesso arte e esperienza religiosa, archeologia e storia delle religioni…). Lo strumento di accesso al fenomeno religioso non può essere più semplicemente un certo tipo di razionalità teologica (intracristiana) o una certa filosofia (occidentale)… come dice la nozione tutta nostra di “religione”. Ma si tratta di una sfida culturale di vasta portata, che lasciamo alle giovani e promettenti generazioni.4) L'ISSR di Milano, fondato nel 1961 dall' arcivescovo cardinale G.B.Montini, si avvia a festeggiare il 60° anno di attività. Quali sono i suoi punti di forza ? 4)    L’ISSR di Milano ha una lunga storia, molto istruttiva, fatta di tante variazioni di piano di studio, di coinvolgimento di docenti e competenze, di numero di alunni… Non è qui il luogo per rileggerla, ma certo è stata una storia ricca e travagliata. Oggi la risorsa più bella è quella di avere un gruppo di docenti appassionati e qualificati, che possano offrire un percorso formativo all’altezza della sfida dei tempi. E’ un sogni di molti ISSR: avere non solo un forte indirizzo pedagogico-didattico finalizzato all’IRC, ma anche indirizzi pastorali ministeriali, artistico-culturali o di cura spirituale del malato che possano formare competenze religioso-spirituali capaci di assumere compiti in vari ambiti di impegno nel nostro contesto pluralista: si pensi alla mediazione culturale e religiosa di altre etnie e religioni presenti sul territorio, all’accompagnamento di malati di altre religioni, al discernimento dei nuovi fenomeni religiosi (sette, magia…). Resta prezioso il servizio a tanti uditori di tutte le età che con passione ammirevole chiedono di approfondire la propria fede o tradizione religiosa. Ma bisogna dotarsi di strumenti per fronteggiare nuove sfide legate alla nostra cultura.
universitario di tipo umanistico compiuto con passione e successo ha maggiori ripercussioni positive nella vita reale ed anche in quella lavorativa di uno studio portato avanti senza entusiasmo e scelto perchè "sulla carta" offre più possibilità. Detto questo sicuramente il più importante sbocco professionale è l'insegnamento della religione cattolica. Si tratta di un servizio importante alla scuola italiana che richiede preparazione rigorosa e grande capacità di insegnare in prospettiva interdisciplinare, anche a partire dalla propria sensibilità. Per questo crediamo - anche se non sono nati primariamente per l'irc - che offrire più indirizzi, oltre al pedagogico-didattico, possa costituire una opportunità anche per coloro fra i nostri alunni che intendono intraprendere la carriera di insegnante di religione. Certamente in prospettiva, l'insegnamento della religione cattolica non potrà più essere l'unico sbocco professionale per chi studia teologia e scienze religiose. Questi saperi costituiscono, infatti, una cifra importante (non certo l'unica) per comprendere e abitare la complessità in sempre più numerosi settori della vita sociale ed economica anche nel nostro paese e sono essenziali per una relazione creativa e feconda, non ideologica ed identitaria, con le radici profonde della nostra cultura.3) Che riconoscibilità c'è di questi titoli nell'ordinamento italiano ed europeo/internazionale ? L’Istituto è interno alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale e aderisce al processo di Bologna, i suoi titoli, inoltre, sono riconosciuti dall’ordinamento italiano in forza di uno specifico accordo siglato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica, il 13 febbraio 2019 e approvato con Decreto del Presidente della Repubblica il 27 maggio dello stesso anno (Gazzetta Ufficiale, 10 luglio 2019)


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2) I titoli rilasciati dall'ISSR come possono oggi essere spesi nell'ambito lavorativo ? Che riconoscibilità c'è           di questi titoli nell'ordinamento italiano ed europeo/internazionale ? 2)    Il titolo in Scienze religiose è ad oggi riconosciuto dallo Sato italiano come titolo universitario. Gli studi all’ISSR sono studi di livello universitario, con crediti formativi omologabili ai corsi di altre università e in parte sovrapponibili ad altre competenze. Attendiamo però dal MIUR indicazioni più precise su quale tipo di laurea rappresenta, quale ambito del sapere ricopre come titolo, anche in vista della partecipazione a qualche concorso: laurea in filosofia, in scienze dell’educazione, in psicologia...Il MIUR si è impegnato a dare una risposta a breve. In base al processo di Bologna, a cui partecipa il Vaticano, i titoli in scienze religiose e in teologia sono a tutti gli effetti lauree universitarie. Nel mondo tedesco e anglosassone hanno una loro identità e dignità e corrispondono a competenze universitarie riconosciute. Esistono nelle università statali corsi di teologia e/o di scienze delle religioni che abilitano a vari mestieri (come il ruolo di pastori in comunità religiose o docenti di religione o altro…). Anche in Spagna si è giunti al riconoscimento.3) Perchè privilegiare l'iscrizione all'ISSR piuttosto che alla facoltà di Teologia ? Cosa contraddistingue lo    studio delle Scienze Religiose ? 3)    Gli ISSR nascono come formazione di una conoscenza critica della tradizione cristiana da mettere a confronto con le scienze delle religioni e quindi con altre ermeneutiche del fatto religioso (psicologia sociologia, filosofia) e con altre religioni (introduzione all’islam, all’ebraismo…). Invece le Facoltà teologiche vogliono formare teologi, esperti del sapere critico proprio della fede cristiana e quindi dedicati al logos della fede. In tal senso chiede di sapere ebraico, greco e latino, per leggere direttamente le fonti della fede e del sapere derivato (tradizione) a partire dai testi rivelati. Invece l’ISSR si pensa più proiettato nel confronto col pluralismo religioso che caratterizza le nostre società. Di fatto, nella sistemazione del nostro piano di studi, abbiamo deciso a Milano di condividere nel triennio uno studio esteso del sapere critico della fede come via per provare un percorso di conoscenza critica e ragionevole dell’esperienza religiosa cristiana a cui appartiene la nostra storia, per specializzarsi nel biennio in un confronto con altre ermeneutiche del religioso e altre religioni. E’ chiaro che il mutamento epocale che viviamo chiederebbe di rivedere lo spazio dato allo studio delle religioni e alla fenomenologia del religioso, dotandosi di nuovi approcci al fenomeno religioso in base all’organizzazione del sapere di livello universitario (antropologia culturale, studio dei sistemi simbolici, nesso arte e esperienza religiosa, archeologia e storia delle religioni…). Lo strumento di accesso al fenomeno religioso non può essere più semplicemente un certo tipo di razionalità teologica (intracristiana) o una certa filosofia (occidentale)… come dice la nozione tutta nostra di “religione”. Ma si tratta di una sfida culturale di vasta portata, che lasciamo alle giovani e promettenti generazioni.4) L'ISSR di Milano, fondato nel 1961 dall' arcivescovo cardinale G.B.Montini, si avvia a festeggiare il 60° anno di attività. Quali sono i suoi punti di forza ? 4)    L’ISSR di Milano ha una lunga storia, molto istruttiva, fatta di tante variazioni di piano di studio, di coinvolgimento di docenti e competenze, di numero di alunni… Non è qui il luogo per rileggerla, ma certo è stata una storia ricca e travagliata. Oggi la risorsa più bella è quella di avere un gruppo di docenti appassionati e qualificati, che possano offrire un percorso formativo all’altezza della sfida dei tempi. E’ un sogni di molti ISSR: avere non solo un forte indirizzo pedagogico-didattico finalizzato all’IRC, ma anche indirizzi pastorali ministeriali, artistico-culturali o di cura spirituale del malato che possano formare competenze religioso-spirituali capaci di assumere compiti in vari ambiti di impegno nel nostro contesto pluralista: si pensi alla mediazione culturale e religiosa di altre etnie e religioni presenti sul territorio, all’accompagnamento di malati di altre religioni, al discernimento dei nuovi fenomeni religiosi (sette, magia…). Resta prezioso il servizio a tanti uditori di tutte le età che con passione ammirevole chiedono di approfondire la propria fede o tradizione religiosa. Ma bisogna dotarsi di strumenti per fronteggiare nuove sfide legate alla nostra cultura.
La ventennale ossessione della didattica per competenze  
di MARCELLO GIULIANO docente nella scuola primaria
Complessità e adattamento. Parallelamente all’evoluzione di una società complessa della comunicazione, del consumo, della produzione e dell’efficienza, in Europa, e poi in Italia, si è imposta la scelta di una Didattica per competenze, con atti legislativi e attuazioni ministeriali, che hanno non poco agitato il mondo docente per l’ennesimo cambiamento del metodo valutativo e di progettazione del piano formativo ad esso finalizzato. Su codesta normativa gli insegnanti non hanno potuto influire minimamente, né discuterla. Vediamo come una prestigiosa Casa Editrice, che si rivolge agli insegnanti, causa agente di detta didattica, introduce il tema.Addestrati per raggiungere uno scopo, risolvere un problema, impiegando quanto si conosce. “… è necessario che i giovani posseggano non solo conoscenze teoriche e abilità tecniche, ma soprattutto atteggiamenti di apertura verso le novità, disponibilità all’apprendimento continuo, all’assunzione di iniziative autonome, alla responsabilità e alla flessibilità. La scuola deve quindi fare in modo che le giovani generazioni sviluppino competenze, intese come “combinazione di conoscenze, abilità e atteggiamenti appropriati al contesto”. La competenza è una dimensione della persona che, di fronte a situazioni e problemi, mette in gioco ciò che sa e ciò che sa fare, ciò che lo appassiona e ciò che vuole realizzare”. (Pearson QUI)Ma, intanto, l’America fa dietrofront! Il Naep, equivalente dell’Invalsi italiano, nel 2018 si chiedeva: Perché gli studenti americani non riescono a migliorare le loro capacità di lettura nonostante tutti gli investimenti fatti negli ultimi due decenni proprio per rafforzare questa competenza strategica? Le conclusioni del panel di esperti, consultati dall’Ente Nazionale di Valutazione, dicevano: “gli studenti non imparano più a leggere perché a scuola si fanno solo test e si trascurano storia e letteratura, arte e scienze!” , come scrisse Orsola Riva nell’articolo del Corriere della Sera del 17 aprile 2018, intitolato Scuola, l’America fa dietrofront: più conoscenze, meno competenze. Giacché Europa e Italia acquistano ciò che gli altri dismettono, tralasciando la propria originalità, è come se acquisissimo autobus dismessi da un paese estero. Se così fosse, potremmo ben sperare, visto che spesso quegli autobus poi finiscono fermi in qualche dimenticato deposito. L’ingenuo intendimento. Chi si lamenterebbe di un ragazzo capace di competenze, dotato di conoscenze ed abilità? Nessuno! Ed allora, perché nutrire dubbi? Le parole nascondono e ‘ri-velano’ pensieri, idee, visioni. E, per avventura, a scuola capiterà di studiarlo.                                      ----->


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Ma una cosa è possedere la nozione ed altro penetrarla. Penetrarla non è un esercizio di comprensione razionale, ammesso che vera comprensione sia. Il Piano per la formazione dei docenti 2016-2019 didattica per competenze, innovazione metodologica e competenze di base, 30, del MIUR, prevede che“La didattica per competenze rappresenta … la risposta a un nuovo bisogno di formazione di giovani che nel futuro saranno chiamati sempre più a reperire, selezionare e organizzare le conoscenze necessarie a risolvere problemi di vita personale e lavorativa. Questa evoluzione concettuale rende evidente il legame che si intende oggi realizzare tra le aule scolastiche e la vita che si svolge al di fuori di esse, richiedendo alla scuola – e soprattutto a ciascun insegnante – una profonda e convinta revisione delle proprie modalità di insegnamento per dare vita a un ambiente di apprendimento sempre più efficace … (Si) richiede un cambiamento di paradigma nell’azione didattica … – a partire dalle modalità di valutazione dei risultati –” (dal sito www.istruzione.it QUI; il grassetto è nostro).Tutti i verbi utilizzati. Reperire, selezionare, organizzare, risolvere, legare la scuola con la vita al di fuori di essa implicano identità della persona con ‘il fare’ prima che con ‘l’essere’. La vita al di fuori della skolé, dedizione a sé stessi nel tempo libero, cultura. coltivazione del mondo interno dell’uomo, e dell’anima, è essenziale per orientare la vita. La skolé rintraccia i criteri, i principî normativi per diventare nel mondo sempre più uomini. La téckne, prima che essere manuale, è intellettuale. Non che la scuola tradizionale elevasse granché lo spirito a sublimi altezze, ma offriva conoscenze preliminari, le quali, mancando, compromettono la crescita interiore. Come sapere se una scelta lavorativa, o un’innovazione tecnologica possano giovare o meno all’uomo, all’anima, se l’anima, l’intimo dell’uomo fossero ignoti? Sarà possibile, in un liceo, adottare un’edizione antologica della Divina Commedia senza un’introduzione, pur breve, ad ogni singola Cantica? Eppure!Riccardo Muti agli universitari di Bologna nel 2009. Dante, pur non essendo musicista, ma poeta, della musica aveva la misura tanto da poetare: S’accogliea per la Croce una melode/ che mi rapiva, sanza intender l’inno (Par. XIV, 122, cf G. Reale, L’arte di Riccardo Muti e la musica platonica, Bompiani, 2005, 172; oppure, R. Muti, Le sette parole di Cristo. Dialogo con Massimo Cacciari, Il Mulino, 2020, 32). Il Poeta giunge alla croce di luce, formata dalle stelle della via lattea, che abbraccia i poli opposti e lì è come la giga e l'arpa, che producono un dolce suono anche per chi non distingue le singole note. E dalla croce di luce usciva una melodia che mi rapiva, anche se io non intendevo l'inno. Ciò Dante diceva di Dio (Video 00:4:53 QUI). Continua a pag. 22


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Con l’O.M. 172/2020 il Ministero dell’Istruzione ha voluto offrire ai docenti la revisione di alcune modalità del sistema valutativo nella scuola primaria. Parte integrante dell’O.M. sono le Linee guida e la Nota Ministeriale 2158/2020. Per informare e coinvolgere meglio il mondo della scuola nel processo di cambiamento, il 15 dicembre 2020 è stato trasmesso in streaming un webinar alla presenza di politici, amministrativi, tecnici ed esperti (gli stessi che hanno elaborato le Linee guida) allo scopo di illustrare i documenti e fornire delle indicazioni operative alle scuole. Il cambiamento introdotto dalla recente normativa rappresenta, in realtà, l’ultima novità di un antico dibattito mai ricomposto in scelte condivise, che continua a dividere il mondo della scuola e i pedagogisti. Tutti i cambiamenti sono stati accompagnati da diverse motivazioni, non sempre pertinenti alle scelte politiche ed ideologiche della maggioranza di turno. Ecco una tabella riassuntiva:
La nuova valutazione nella scuola primaria: una novità? Brevi riflessioni con nota finale sull'IRC  
di PASQUALE NASCENTI docente nella scuola primaria
Il voto in decimi risale alla riforma Gentile di un secolo fa (1923). L’opinione pubblica si è sempre mostrata affezionata al voto come codice forte e chiaro per comunicare la valutazione. I voti numerici sono percepiti come inequivocabili. Al contempo, i docenti sanno però che a guardarli in controluce si rivelano poveri di informazioni e carichi di ambiguità. Anche le famiglie sono consapevoli che il 6 dell’insegnante Tizio non è identico al 6 dell’insegnante Caio e che ci sono insegnanti che per principio non utilizzano mai il 10, limitandolo ai casi eccezionali. Forse il voto numerico mostra poco interesse ai contenuti di apprendimento e ai processi di crescita degli studenti, anche se contribuisce grandemente ad aumentare una certa competitività tra gli stessi studenti e, forse, anche qualche contenzioso tra genitori e insegnanti. Nel dibatto degli anni Settanta si mise in evidenza la limitatezza del voto rispetto alla complessità della persona ma anche la distanza tra valutazione soggettiva (percezione del docente) e la dimensione oggettiva con approccio quantitativo. In generale c’era consapevolezza diffusa che nel modello adoperato mancasse attenzione ai processi di apprendimento e alle caratteristiche personali dello studente; fu questo uno dei motivi che accelerò la riforma del 1977. In quegli stessi anni si stava diffondendo anche in Italia una certa attenzione alla valutazione come scienza (docimologia) di stampo illuministico. Tale approccio contribuì a migliorare l’analisi delle prestazioni e a --->


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distinguere ciò che in un processo di apprendimento poteva essere oggetto di misurazione con strumenti quantitativi da ciò che invece per essere apprezzato aveva bisogno di raffinati strumenti qualitativi. L’esito del dibattito confluì nella L. 517/1977 che spostò l’attenzione a scelte descrittive introducendo la Scheda di valutazione. Tale modello descrittivo è stato sicuramente in grado di sollecitare una maggiore attenzione verso la persona nella sua complessità e nei suoi comportamenti cognitivi ma non ha contribuito ad avviare una ricerca seria sui processi e gli esiti valutativi. I risultati non furono entusiasmanti: sul piano comunicativo si riscontrava una certa ambiguità terminologica, sul piano valutativo si poteva facilmente cadere nel giudizio alla persona, sul piano della qualità non si riusciva a fornire un quadro significativo dello studente. Le successive innovazioni pedagogiche e ordinamentali degli anni Ottanta coinvolsero anche i programmi in tutti i gradi di scuola. Da qui nacque un nuovo Documento di valutazione (1993) che cercherà di dare una risposta operativa al bisogno di integrare due approcci culturali: quello tecnico-docimologico e quello formativo. Il primo era rappresentato dalla parte del documento che si richiedeva ai docenti di utilizzare cinque lettere alfabetiche (A, B, C, D, E) per i risultati di apprendimento. L’approccio formativo era rappresentato dalla parte che accentava l’attenzione agli elementi di contesto e ai processi. Il nuovo Documento richiedeva ai docenti un impegno professionale molto poderoso. Le scuole, malgrado le difficoltà, si stavano attrezzando attraverso percorsi di ricerca, studio e formazione. Un lavoro che avrebbe avuto bisogno di continuità per una reale ricaduta positiva sulla cultura valutativa nel nostro sistema scolastico. Tale processo fu bruscamente interrotto da un aggiustamento normativo che ridusse il lavoro dei docenti ma frenò il percorso di ricerca avviato. I cinque livelli (le lettere alfabetiche) che avrebbero dovuto rappresentare precisi indicatori di competenza furono trasformati in cinque giudizi e sintetizzati in cinque aggettivi: ottimo, distinto, buono, sufficiente, non sufficiente. La scelta fu motivata da ragioni di semplificazione della comunicazione alle famiglie. Negli anni Novanta si stava affacciando il grande dibattito sull’autonomia scolastica che avrebbe modificato l’orizzonte in cui collocare la riflessione pedagogica, strizzando l’occhio ai modelli aziendalisti. All’interno di tale quadro venivano predisposti nuovi modelli di certificazione per indicavare conoscenze, abilità, competenze. Contestualmente il nuovo assetto normativo assegnava al Ministero il compito di definire gli indirizzi generali sulla valutazione, lasciando alle scuole le responsabilità di individuare modalità e criteri di valutazione degli alunni. Con le riforme di primi anni Duemila (Berlinguer e Moratti) venne introdotto un nuovo strumento: il Portfolio delle competenze individuali dello studente, modello in sintonia con esperienze europee accreditate ma neanche questa strada andò a buon fine, anzi, le spinte alla ricerca che l’avevano mosso, richiamando l’uso di criteri di flessibilità, proponevano sobrie schede di valutazione, le quali testimoniavano anche un po’ l’incertezza, per non dire la rinuncia, dei decisori politici su questo tema. Nel 2008, con questo scenario, l’ennesima stretta culturale: il ritorno ai voti numerici. Nel frattempo vedeva la luce un nuovo documento di natura pedagogico-culturale, le Indicazioni nazionali per il curricolo, che richiedeva, per sua natura, una riflessione da svolgersi all’interno dell’autonomia scolastica sui processi di apprendimento e i suoi esiti. In questo quadro si colloca il processo di Autovalutazione d’istituto e le Prove nazionali INVALSI.


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Con la L. 107/2015 “Buona scuola” viene prodotto il D. Lgs. 62/2017, un provvedimento molto articolato che spazia dalle questioni generali sul senso del valutare alle dettagliate prescrizioni in materia di ammissioni alle classi successive, di esami, di certificazione delle competenze. Di fatto anche questo decreto propendette per i voti numerici: la partita tra i fautori del voto “semplice e chiaro per tutti” e i sostenitori del giudizio descrittivo che “permette di capire capire quello che si sa e come” non era ancora chiusa. Se è vero che la scala numerica rappresenta uno strumento di precisione, non si può ignorare che l’oggetto della misurazione, cioè gli apprendimenti, sfugge alla possibilità di una graduazione secondo intervalli uguali. Quando si parla di persone si può avanzare solo per approssimazione. Ma forse la consapevolezza della differenza tra strumento di misurazione come oggettivabili e la valutazione come stima è già un buon segno. Una buona valutazione può avvenire a prescindere dallo strumento. Parallelamente, ma molto meno dinamicamente, si è sviluppata la questione della valutazione dell’IRC che sarà qui brevemente affrontata mettendo a fuoco alcuni paletti normativi ed escludendo, per praticità di trattazione, alcuni aspetti seppur importanti come la presenza agli esami, nello scrutinio finale, nel credito scolastico L’art. 4 della L. 824/1930 aveva stabilito che per “l’insegnamento religioso, in luogo di voti e di esami viene redatta a cura dell’insegnante e comunicata alla famiglia una speciale nota, da inserire nella pagella scolastica, riguardante l’interesse con il quale l’alunno segue l’insegnamento e il profitto che ne ritrae”. Le motivazioni venivano giustificate dalla C.M. 117/1930: “per l’insegnamento religioso, date le sue speciali finalità, non si assegnano voti, né si danno esami, e del profitto che gli alunni ne ritraggono l’insegnante di religione informerà le rispettive famiglie mediante apposita nota da inserire nella pagella”. Con l’Accordo di revisione del 1984 l’IRC ha fatto proprie le finalità della scuola ma l’articolato del 1930 è confluito quasi interamente nel Testo Unico della scuola D. Lgs. 297/1994, art. 309 c. 4, che rimane ad oggi la legislazione ancora valida a cui faranno riferimento. Va precisato che per quanto riguarda il divieto di voto numerico, la differenza tra la valutazione dell’IRC e quella delle altre discipline è stata maggiormente evidente nella scuola secondaria di secondo grado, dove per le materie è sempre stato previsto il voto numerico, mentre per la scuola primaria, come si è illustrato sopra, il divario era reso meno evidente nelle fasi in cui i tradizionali voti decimali venivano sostituiti con giudizi descrittivi sintetici. La C.M. 20/1964 introdusse l’uso degli aggettivi (scarso, sufficiente, molto, moltissimo) per esprimere la valutazione finale specificamente dell’IRC. Tale scala fu di fatto sostituita da quella introdotta dalla C.M. 491/1996 tuttora in uso in molte scuole ed espressa anch’essa in aggettivi secondo cinque livelli di merito (non sufficiente, sufficiente, buono, distinto ottimo). Anche se non fu pensata specificamente per l’IRC, fu di fatto ad essa estesa. Resta da valutare l’effettiva ricaduta del D.P.R. 275/1999, art. 4 c. 4, sulla valutazione dell’IRC; in esso vi leggiamo: “nell’esercizio dell’autonomia didattica le istituzioni scolastiche individuano le modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionale ed i criteri per la valutazione periodica dei risultati conseguiti dalle istituzioni scolastiche rispetto agli obiettivi prefissati”. Il Regolamento sull’autonomia scolastica sembra offrire ampio margine di riflessione, e forse anche di manovra, per la valutazione dell’IRC all’interno delle singole scuole, pur conservando i divieti normativi dell’art. 309, c. 4, del Testo Unico della scuola. Una possibilità che, ad oggi, sembra interessare a pochi.  


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La valutazione nel metodo Montessori di ELENA SANTAGOSTINIdocente nella Scuola Primaria
“Amate i vostri alunni, come fossero vostri figli! Loro sentono cosa proviamo per loro ! In base a ciò che sappiamo dare, tanto potremo ricevere” così Maria Montessori esortava le insegnanti delle sue scuole; istituti allora, e forse ancora oggi, rivoluzionari per la linea pedagogica adottata. La dottoressa così si esprimeva: “I bambini nelle nostre scuole sono liberi, ma l’organizzazione è necessaria: un’organizzazione più accurata che nelle altre scuole, affinché i bambini siano liberi di lavorare” Il bambino infatti deve essere posto in condizione di liberare il suo potenziale, in tutta autonomia, grazie ad un ambiente stimolante, creato a sua misura. Il docente, dunque, deve porsi come un facilitatore, diventando il più possibile “invisibile”: il suo arduo compito è quello di osservare gli alunni, preparare l’ambiente ed i materiali nei minimi dettagli ed intervenire il meno possibile, anche per quanto concerne lodi e rimproveri: “Una delle cose che l’insegnate non deve fare è di interferire per lodare o per punire o per correggere gli errori (…) se un bambino riceve premi e punizioni, significa che non ha l’energia di guidarsi e che egli si rimette alla continua direzione dell’insegnate. I premi e le punizioni, in quanto estranei al travaglio spontaneo dello sviluppo del bambino, sopprimono e offendono la spontaneità dello spirito”.L’alunno perciò deve farsi protagonista attivo del proprio apprendimento e deve essere lasciato libero di sperimentare, provare, riprovare, ripetere, sbagliare e autocorreggersi “I bambini lasciati liberi, sono assolutamente indifferenti a premi e castighi (…) solo l’esperienza e l’esercizio correggono gli errori e l’acquisto delle diverse capacità richiede lungo esercizio”. A tal proposito la Dottoressa descrive un episodio significativo che lei stessa ebbe modo di constatare: “Una volta entrai nella scuola e vidi un bambino seduto su una poltroncina in mezzo alla stanza, tutto solo e senza far niente e portava sul petto la pomposa decorazione della maestra. Questa mi raccontò che il bambino era in castigo, ma, poco prima, aveva premiato un altro bambino, mettendogli sul petto la decorazione. Questi però, passando accanto al castigato, l’aveva passata a lui, quasi fosse una cosa inutile ed ingombrante per chi vuol lavorare. Il castigato contemplava con indifferenza quel pendaglio e si guardava intorno tranquillo, cioè senza affatto sentire il castigo (…) Allora i premi e i castighi non furono più dati. C’era un risveglio della coscienza, un senso della dignità che non esistevano prima”. Ancora oggi pertanto nelle scuole montessoriane non ci sono voti per identificare le prestazioni; ciascuno matura la capacità di autovalutazione e costruisce personalmente e autonomamente strategie personali di miglioramento. Si è convinti che il voto spegnerebbe la motivazione interna verso la sete di conoscenza e l’esplorazione proficua del reale che si concretizza anche e grazie all’errore commesso e successivamente autocorretto. L’insegnate dunque si deve cimentare nell’essere il più discreto possibile, quasi invisibile, deve rimanere umilmente nell’ombra, per far venire alla luce, quasi con religiosa devozione, il “maestro interiore” che alberga in ogni suo alunno e lo guida verso uno sviluppo cosciente ed autono-


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mo. È suggestiva, profonda ed ancora oggi, a distanza di un secolo, innovativa e ricca di spunti di riflessione la descrizione dell’insegnate tratteggiata dalla dottoressa stessa: “Il compito della nuova maestra si è fatto più delicato e serio. Dipende da lei se il bimbo troverà la sua via verso la cultura e la perfezione o se tutto andrà distrutto. La cosa più difficile è far capire alla maestra che, perché il bimbo progredisca, ella deve eclissarsi e rinunciare ai diritti che prima le spettavano (…) In compenso la sua azione indiretta dev’essere assidua: deve preparare con piena coscienza di causa l’ambiente, disporre il materiale didattico a ragion veduta ed introdurre con ogni cura il bimbo ai lavori della vita pratica.(…) La maestra deve consacrarsi alla formazione di un’umanità migliore. Come la vestale doveva serbare puro e scevro di scorie il sacro fuoco che altri avevano acceso, così alla maestra è stata affidata la fiamma della vita interiore in tutta la sua purezza. Se questa fiamma sarà trascurata, si spegnerà per non accendersi mai più”.
M. Montessori “Il bambino in famiglia”, Milano, Garzanti, 2000, pp. 65-66.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO M. Montessori, “La mente del Bambino”, Milano, Garzanti, 1999, p. 243. Ibidem, p. 244. Ibidem, p. 244. M. Montessori “Il segreto dell’infanzia”, Milano, Garzanti, 2018, p. 150. M. Montessori “Il bambino in famiglia”, Milano, Garzanti, 2000, pp. 65-66.  


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UNA VALUTAZIONE INNOVATIVA di MIRKO CAMPOLI docente nella Scuola Secondaria di II Grado
Nell’ITCG E.Fermi di Tivoli è iniziata da due anni un’interessante sperimentazione didattica avente come riferimento la centralità dello studente e la valorizzazione degli stili cognitivi nel rispetto dei ritmi di apprendimento degli alunni. I docenti sono stati chiamati dal dirigente scolastico ad utilizzare metodologie fondate sul dialogo e sul coinvolgimento attivo degli studenti e strategie formative finalizzate all’acquisizione di capacità meta-cognitive e alla creazione di un ambiente di apprendimento collaborativo. Tutto ciò avvalendosi, quindi, di una didattica creativa, adattiva, flessibile e il più possibile vicina alla realtà. Questo modello di insegnamento, ispirato ad un approccio costruttivista e non trasmissivo della didattica, vuole favorire una relazione dialogica/affettiva con i propri alunni che, al di là di ogni rigidità metodologica, garantisca la comprensione dei bisogni e l’attuazione di risposte funzionali affinché essi non siano fruitori passivi ma possano giocare un ruolo attivo e partecipe nella costruzione delle proprie conoscenze. Anche la valutazione, coerentemente con questi criteri, non prevede l’utilizzo dei voti ma concorre al conseguimento degli obiettivi educativi e didattici e all’acquisizione delle competenze attraverso un’analisi qualitativa (e non stigmatizzante) dell’errore e attraverso feedback e giudizi educativi. Dunque queste classi seguono un programma di sperimentazione che prevede i seguenti criteri innovativi: - Introduzione nel piano orario annuale di n.33 ore complessive (n.1 ora settimanale) di empatia guidata da un esperto; - Valutazione non numerica, strettamente legata al raggiungimento degli obiettivi formativi: NaP (non ancora positivo), P (positivo) e PP (pienamente positivo). Tale valutazione, convertita in voto numerico solo al termine dell’anno scolastico, vuole incoraggiare e valorizzare lo sforzo e l’impegno degli studenti sugli obiettivi di apprendimento piuttosto che sul voto relativo agli esisti del proprio studio. - Ogni disciplina nella propria programmazione mira a sottolineare il legame che i propri contenuti hanno con la vita reale e concreta dello studente; - Frequente ricorso a collegamenti inter-disciplinari e ad attività multi-disciplinari.   Questa sperimentazione sta incontrando il favore delle famiglie e dei docenti che certamente riescono ad avvalersi di un clima relazionale che favorisce maggiormente l’apprendimento ed il successo scolastico.


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Continua da pag. 15.Il Magister. Egli fa divenire magis, di più, accresce, si pone accanto e avanti e dietro all’allievo, non per misurarlo, fidandosi di scientifici indicatori, o percentili farmaceutici, ma per ascoltare l’intimo cielo stellato dell’adolescente (che cresce), nuovo cielo del ‘vocato’ che ancora non conoscono né lui, né l’altro. Insieme non per misurare, ma per ascoltare la melode che non si intende. Ma ciò serve? No, è ‘in-utile’ al profitto immediato, ma ha  formato schiere di letterati e di scienziati. Proprio dall’ascolto delle in-esistenti celesti sfere l’uomo ha scoperto la matematica dell’universo, senza la quale nemmeno le tanto amate leggi di mercato potrebbero ex-sistere, stare fuori, apparire, levarsi dalla terra (cf Marco Bersanelli, Il grande spettacolo del cielo. Otto visioni dell’universo dall’antichità i giorni nostri, Sperlink & Kupfer, 2016). Le conoscenze, rimembrate, risorte nell’incontro imprevisto con la realtà esterna, fanno sì che essa viva e risuoni. Questo non si può misurare. E ancora, il Corriere: “… il fatto che i lettori capiscano o meno un testo dipende molto di più dalle loro conoscenze e dalla ricchezza del loro vocabolario che da quanto si sono esercitati con domande del tipo «Qual è l’argomento principale del testo?» o «Che conclusioni trai dalla lettura di questo brano?».”. Non sarebbe sufficiente, ma un inizio, sì!
Il codice ISBN è ISBN 978-88-8424-587-8 Il libro è acquistabile nelle librerie, oppure on line, presso la Casa Editrice MIMEP-DOCETE o tutte le rivendite:  Amazon, Ibs, San Paolo, ecc. Qui l'anteprima e l'indice, 272 pagine, 42 illustrazioni commentate: Mio Signore e mio Dio – Casa Editrice Mimep Docete
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