Agorà IRC
ANNO II - N. 2- febbraio 2021 - www.agorairc.it - www.uilscuolairc.it
RIVISTA ON-LINE DEI DOCENTI DI RELIGIONE CATTOLICA
I sincacati sono i promotori della giustizia sociale, per i diritti degli uomini del lavoro, nelle loro specifiche professioni. La lotta per i diritti è un normale adoperarsi per il giusto bene; non è una lotta contro gli altri(cfr. Giovanni Paolo II Laborem Exercens, 20)
I sindacati sono promotori della lotta per la giustizia sociale!
"Il vero cuore della Scuola è fatto di ore di lezione che possono essere avventure, incontri, esperienze intellettuali ed emotive profonde"
Massimo Recalcati
DAD/DDI UN ANNO DI UNA NUOVA DIDATTICA?
IN COLLABORAZIONE CON


EDITORIALE di G. FavillaDaD/DDI, un anno di una nuova didattica?
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IN DIALOGO: a cura di D. De Laurentiis: Insegnamento e Didattica ai tempi del Covid-19
L'INTERVISTA Prof. Don Alberto Cozzi , ISSR di Milano
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IN QUESTO NUMERO
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Anno II - n. 2 - febbraio 2021 Pubblicato su www.magglance.com/uilscuolairc
DIRETTORE Giuseppe Favilla REDATTORE CAPOMonica Bergamaschi REDAZIONEPaolo Bellintani (1°redattore)Monica Bergamaschi Diletta De LaurentiisGiuseppe Esposito Giuseppe Favilla Marcello GiulianoPasquale Nascenti Mariella PompeiAndrea Robert Elena Santagostini Francesco Sica
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STORIA DELL'IRC? di P. NascentiL'Insegnamento della Religione nella scuola all'Alba della Costituzione


EDITORIALE
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DaD/DDI UN ANNO DI UNA NUOVA DIDATTICA?di Giuseppe Favilla*
RIFLESSIONI a cura di G. Esposito DaD e DDI: non è tutto da buttare
RIFLESSIONI a cura di A. RobertDalla DaD Alla DDI: un anno dopo.
SINDACATO  a cura di M. PompeiNoi Irc in attesa di Buone notizie
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È trascorso un anno esatto dal decreto legge n. del 23 febbraio 2020, quando il Consiglio dei Ministri bloccava ogni forma di spostamento della popolazione nelle regioni Lombardia e Veneto. Erano i giorni di carnevale, giorni che dovevano essere di festa, ma che presto si sono trasformati in un incubo. Due giorni dopo la Lombardia e il Veneto, non solo cominciavano una lotta contro il virus Covid Sars-19, che ha mietuto centinaia e centinaia di vittime, ma hanno dovuto far fronte anche a sfide educative impreviste e di non di poco conto. Le scuole di queste regioni hanno dovuto trasformare ciò che era una metodologia di supporto alla normale didattica in presenza, già avviata con sperimentazioni di nicchia, in una didattica di emergenza che, mese dopo mese, si è strutturata grazie alla generosità e alla capacità di adattamento dei docenti di ogni ordine e grado e dei loro studenti.
Da lì a poco, precisamente dall’8 marzo in poi, le misure di emergenza diventarono sempre più stringenti fino a portare al lockdown, parola fino ad allora sconosciuta, o quasi, ma che è entrata ormai forzatamente nel linguag- Coordinatore Nazionale UIL Scuola IRC
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INTERVISTA a cura di E. Santagostini Intervista con un'esperta del settore: dott.ssa Ilaria Dufour, psicoterapeuta.  
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linguaggio comune, così come nello stile di vita di ogni persona. Tutti, ognuno a proprio modo, abbiamo dovuto fare i conti con una realtà che si imponeva come minacciosa, soprattutto per gli anziani, la categoria più colpita nella prima ondata pandemica. Attraverso altre successive determinazioni di legge (decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, articolo 1, comma 2, lettera p e Legge 6 giugno 2020, n. 41, all’articolo 2, comma 3), la didattica a distanza, per lunghi mesi, è diventata l’unica modalità possibile per continuare a “fare scuola”. Un anno di riflessioni, studi, dibattiti, posizioni sindacali di vario genere, hanno accompagnato quel modo di insegnare da casa o da scuola che vede la presenza a distanza o la distanza in presenza del 50% o 100% degli studenti della classe o della scuola. Un enigma senza soluzioni nette, quello che si chiede se la didattica a distanza sia una vera didattica che si possa, in stato di emergenza, sostituire alla didattica tradizionale; se la didattica a distanza possa essere integrata con quella in presenza e dunque diventare didattica digitale integrata. La Didattica a Distanza e la Didattica Digitale integrata chiedono di essere considerate e valutate come una nuova possibilità di didattica. A parere di chi scrive, né l’una né l’altra si possono però, configurare come nuova metodologia per l’apprendimento dei saperi e per lo sviluppo delle competenze e soprattutto possono risultare non sempre utili per lo sviluppo cognitivo e il rafforzamento delle conoscenze di base nelle bambine e nei bambini. Un’affermazione, la mia, che desterà non poche prese di posizione contro e a favore, ma rappresenta quanto, da un anno ormai, attraverso diversi spunti e riflessioni, credo di poter difendere e giustificare: la didattica a distanza e le sue nuove formulazioni, rappresentano solamente una modalità di insegnamento emergenziale e che dovrà essere collocata a riposo una volta terminata la crisi pandemica. Insegnare, come ha affermato, in uno dei sui studi, Massimo Recalcati, noto studioso e psicanalista, è altra cosa, cosa diversa dalla didattica a distanza. Le ore di lezione a scuola portano con sé avventure, incontri, esperienze intellettuali ed emotive profonde. In una recente intervista ad Orizzonte Scuola, Recalcati ha affermato: “Non c’è dubbio che la vita della scuola implica i corpi, l’esistenza di una comunità in presenza. Ed è indubbio che la DAD sia stata una faticosissima supplenza all’impossibilità dell’incontro in presenza”, malgrado ciò, è innegabile, la didattica a distanza è stato strumento prezioso per una volontà precisa che non si arrende davanti all’imprevisto. La didattica digitale integrata, a cui nello scorso mese di luglio, attraverso le linee guida, è stata data un’anima pseudo pedagogica, non può sostituire la valenza di un incontro, di uno sguardo, di una relazione empatica tra docente e studente che lasciano sempre un segno nella formazione e nella crescita della persona, ma ha avuto il merito di mostrare il volto di una comunità educante che non si lascia fermare e che accetta la sfida e si offre come esempio concreto. Le linee guida citate definiscono la didattica digitale integrata, intesa come metodologia innovativa di insegnamento-apprendimento, rivolta a tutti gli studenti della scuola secondaria di II grado, come modalità didattica complementare che integra la tradizionale esperienza di scuola in presenza, e ne estendono il valore, in caso di nuovo lockdown, agli alunni di tutti i gradi di scuola. La didattica digitale integrata, prevede anche una presenza fisica degli studenti in classe, in una percentuale minima/massima del 50%; si tratta dunque di una successiva rimodulazione dell’insegnamento che richiede che “La progettazione della didattica in modalità digitale tenga conto del contesto e assicurare la sostenibilità delle attività proposte e un generale livello di inclusività, evitando che i contenuti e le metodologie siano la mera trasposizione di quanto solitamente viene svolto in presenza”. Ci siamo trovati in poco tempo nel totale stravolgimento di tutte le teorie di apprendimento, mutuando sic et simpliciter quanto sviluppato negli ultimi anni dalle Università Telematiche in qualche cosa di ordinario e continuativo nel tempo.
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gio comune, così come nello stile di vita di ogni persona. Tutti, ognuno a proprio modo, abbiamo dovuto fare i conti con una realtà che si imponeva come minacciosa, soprattutto per gli anziani, la categoria più colpita nella prima ondata pandemica. Attraverso altre successive determinazioni di legge (decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, articolo 1, comma 2, lettera p e Legge 6 giugno 2020, n. 41, all’articolo 2, comma 3), la didattica a distanza, per lunghi mesi, è diventata l’unica modalità possibile per continuare a “fare scuola”. Un anno di riflessioni, studi, dibattiti, posizioni sindacali di vario genere, hanno accompagnato quel modo di insegnare da casa o da scuola che vede la presenza a distanza o la distanza in presenza del 50% o 100% degli studenti della classe o della scuola. Un enigma senza soluzioni nette, quello che si chiede se la didattica a distanza sia una vera didattica che si possa, in stato di emergenza, sostituire alla didattica tradizionale; se la didattica a distanza possa essere integrata con quella in presenza e dunque diventare didattica digitale integrata. La Didattica a Distanza e la Didattica Digitale integrata chiedono di essere considerate e valutate come una nuova possibilità di didattica. A parere di chi scrive, né l’una né l’altra si possono però, configurare come nuova metodologia per l’apprendimento dei saperi e per lo sviluppo delle competenze e soprattutto possono risultare non sempre utili per lo sviluppo cognitivo e il rafforzamento delle conoscenze di base nelle bambine e nei bambini. Un’affermazione, la mia, che desterà non poche prese di posizione contro e a favore, ma rappresenta quanto, da un anno ormai, attraverso diversi spunti e riflessioni, credo di poter difendere e giustificare: la didattica a distanza e le sue nuove formulazioni, rappresentano solamente una modalità di insegnamento emergenziale e che dovrà essere collocata a riposo una volta terminata la crisi pandemica. Insegnare, come ha affermato, in uno dei sui studi, Massimo Recalcati, noto studioso e psicanalista, è altra cosa, cosa diversa dalla didattica a distanza. Le ore di lezione a scuola portano con sé avventure, incontri, esperienze intellettuali ed emotive profonde. In una recente intervista ad Orizzonte Scuola, Recalcati ha affermato: “Non c’è dubbio che la vita della scuola implica i corpi, l’esistenza di una comunità in presenza. Ed è indubbio che la DAD sia stata una faticosissima supplenza all’impossibilità dell’incontro in presenza”, malgrado ciò, è innegabile, la didattica a distanza è stato strumento prezioso per una volontà precisa che non si arrende davanti all’imprevisto.La didattica digitale integrata, a cui nello scorso mese di luglio, attraverso le linee guida, è stata data un’anima pseudo pedagogica, non può sostituire la valenza di un incontro, di uno sguardo, di una relazione empatica tra docente e studente che lasciano sempre un segno nella formazione e nella crescita della persona, ma ha avuto il merito di mostrare il volto di una comunità educante che non si lascia fermare e che accetta la sfida e si offre come esempio concreto.


Le linee guida citate definiscono la didattica digitale integrata, intesa come metodologia innovativa di insegnamento-apprendimento, rivolta a tutti gli studenti della scuola secondaria di II grado, come modalità didattica complementare che integra la tradizionale esperienza di scuola in presenza, e ne estendono il valore, in caso di nuovo lockdown, agli alunni di tutti i gradi di scuola. La didattica digitale integrata, prevede anche una presenza fisica degli studenti in classe, in una percentuale minima/massima del 50%; si tratta dunque di una successiva rimodulazione dell’insegnamento che richiede che “La progettazione della didattica in modalità digitale tenga conto del contesto e assicurare la sostenibilità delle attività proposte e un generale livello di inclusività, evitando che i contenuti e le metodologie siano la mera trasposizione di quanto solitamente viene svolto in presenza”. Ci siamo trovati in poco tempo nel totale stravolgimento di tutte le teorie di apprendimento, mutuando sic et simpliciter quanto sviluppato negli ultimi anni dalle Università Telematiche in qualche cosa di ordinario e continuativo nel tempo. La DDI pone altri elementi a cui fare attenzione quali la cura per gli alunni con Bisogni Educativi Speciali e in modo particolare per gli alunni con handicap che continuano a frequentare in presenza, dimostrando concretamente da una parte l’attenzione per la fragilità, dall’altra però, la solitudine e il disagio di trovarsi in un’aula semi deserta. Ciò che le Linee Guida definiscono nuova metodologia, di fatto, si sta rilevando come metodologia ancora inadatta all’ambiente scuola, non solo per la relazione tra studenti e docenti, ma anche tra docenti e datore di lavoro. Nel mese di agosto, in sole quarantotto ore è stato proposto dal Ministero un contratto collettivo nazionale integrativo sulla Didattica a Distanza, teso a regolamentare il lavoro del docente e che ha trovato il consenso sindacale di alcune poche sigle. Un contratto che va a ledere lo stesso principio delle relazioni sindacali che devono basarsi su un confronto approfondito tra l’Amministrazione e i rappresentanti dei lavoratori. Il contratto firmato e dunque emanato ha messo in risalto nuove criticità sul rapporto di lavoro del docente in DaD o in DDI, tanto da portare la UIL Scuola a non voler firmare il contratto. La UIL scuola è convinta che la Didattica a Distanza o la sorella minore, la didattica digitale integrata, debbano rimanere una didattica emergenziale e che la vera scuola sia quella in presenza; che il vero incontro e la vera spinta educativa non possano avvenire in forma mediata, bensì attraverso l’incontro personale e la condivisione faccia a faccia, metodologia questa, da sempre vincente per la risoluzione di qualsiasi problema o conflitto.
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L’insegnamento della religione nella scuola all’alba della  Costituzione
di PASQUALE NASCENTI docente nella scuola primaria
STORIA DELL'IRC
Alla caduta del fascismo e all’armistizio del’8 settembre 1943 seguì un periodo di convulse trattative che portarono la penisola ad essere divisa in due grandi blocchi: la Repubblica Sociale detta di Salò sotto il dominio nazifascista e il Regno del Sud, con sede in Puglia, dove il Re si era rifugiato. Si cercherà di dare una parvenza di normalità ma la vita della scuola sarà più sconvolta dai bombardamenti e dalla resistenza antifascista che non dalle circolari ministeriali. Con la collaborazione degli Alleati, attraverso la presenza del pedagogista Carleton Washburne, di ispirazione deweyniana, facente parte della commissione istituita dal Ministro della Pubblica Istruzione Guido De Ruggiero nel 1944, videro la luce i Programmi per le scuole elementari e materne (Decreto Ministeriale del 9 febbraio 1945 e Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 549 del 24 maggio del 1945). La finalità di tutto il dispositivo era volta a contrastare l’analfabetismo spirituale prima ancora che quello strumentale e a promuovere il libero sviluppo dell’alunno, a suscitare “un vivo sentimento di fraternità che superasse l’angusto limite dei nazionalismi” e una “serena volontà di lavorare e di servire il Paese con onestà di propositi” con la progressiva acquisizione di un “costume di vita democratico”. Nei programmi specifici dell’educazione religiosa veniva specificato l’ispirazione “alla docile figura di Gesù quale risulta dai Vangeli così da suscitare nei fanciulli l’amore verso Dio e il prossimo”. Si esortava a dare particolare importanza alla vita di Gesù e alle parabole evangeliche illustrando gli insegnamenti morali e sociali che ne scaturivano; e alla narrazione della vita dei santi, particolarmente di quelli che si erano prodigati per il bene dell’umanità. La spiegazione delle parti dogmatiche del programma non doveva appesantire il tutto ma favorire una spontanea adesione ai principi del Vangelo e alla evidenza fra tali principi e la legge morale e civile. Per favorire ciò l’insegnante poteva trarre argomenti di educazione religiosa anche dalle altre materie, utilizzando figurazioni e capolavori d’arte sacra che giovassero all’efficacia dell’insegnamento. Il 2 giugno 1946 l’Italia votò per la Repubblica e la fase successiva in sede di Assemblea Costituente fu animata da ampio dibattito dal quale emersero conflitti fra le diverse componenti dell’Italia postfascista: cattolici e laici, comunisti e liberali. Il dibattito sulla scuola si svolse tra l’ottobre e il dicembre 1946. Tra le discussioni di maggior rilievo c’erano tematiche riconducibili al più grande tema della libertà: libertà di insegnamento, libertà di educazione, libertà di scelta, libertà religiosa. Sullo sfondo del confronto vi era un problema ben più grosso da risolvere: come collocare i Patti Lateranensi? Intorno allo specifico argomento dell’istruzione religiosa nella scuola è noto che il dibattito si svolse come aperto dissidio, tra una corrente più laicista della sinistra rappresentata da Concetto Marchesi del Partito Comunista e quella più cattolica di Aldo Moro della Democrazia Cristiana affiancata da alcuni settori della destra.


I termini del contrasto tra le posizioni riguardavano il modo di intendere la scuola, se fosse o meno la sede adatta ad impartire l’insegnamento religioso. La parte più laicista sosteneva che nei programmi scolastici non poteva entrare la religione, tutt’al più soltanto attraverso la religiosità del maestro, Moro sosteneva che la formazione spirituale fosse centrale nella vita del giovane e che si rendesse necessaria una parola in grado di “richiamare l’anima sua alla suprema ragione di vita”. La sua proposta, formalizzata il 18 ottobre 1946, era chiara: “Nelle scuole di ogni ordine, escluse quelle universitarie, lo Stato assicura agli studenti che vogliono usufruirne, l’insegnamento religioso, nella forma ricevuta dalla tradizione cattolica”. Pur accettando un concetto di Stato che non ha alcuna verità da insegnare né in materia religiosa né altrove, non si poteva negare la necessità che esso accogliesse democraticamente i contenuti educativi proposti dalla coscienza sociale, tra le cui problematiche vi erano temi religiosi che rappresentavano, fra l’altro, punti nodali di connessione tra famiglia, scuola e società. Ignorare tali problematiche significava negare un rapporto reale dello Stato e le sue istituzioni con le esperienze morali dei cittadini e con le correnti vive della società. La principale critica mossa alla proposta di Moro era quella che essa avrebbe violato il principio di uguaglianza tra le confessioni, creando un trattamento di favore per la religione cattolica rispetto  alle altre. La questione non era di poco conto, dato lo sfondo nel quale era collocata. Il problema era la possibilità di assumere costituzionalmente un impegno che avrebbe potuto implicare un’ipoteca per l’avvenire, vincolando lo Stato ad un indirizzo confessionale nell’insegnamento. L’intervento di Giuseppe Dossetti, rappresentante dell’ala più a sinistra della Democrazia Cristiana, contribuì prima a sospendere la discussione, con lo scopo di raffreddare gli animi, e poi a rimandarla in un secondo momento, quando si sarebbe trattato più in generale dei rapporti tra Stato e Chiesa. Sta di fatto che la discussione fu abbandonata. Nella notte tra il 25 e il 26 marzo 1947 con 350 voti a favore (democristiani, comunisti, “qualunquisti”, indipendenti e liberali) e 149 contrari (soprattutto socialisti) si decise di inserire i Patti Lateranensi nel testo stesso della Costituzione: art. 7: “Lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.” Forse non fu la soluzione perfetta ma senz’altro fu la soluzione più saggia: garantì la ’pace religiosa’ in Italia. La parte cattolica ottenne il mantenimento dell’insegnamento religioso nelle scuole così come era dal 1929 (“fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica”), la parte laica considerò anche una vittoria il fatto che con questo compromesso l’insegnamento religioso non sarebbe diventato argomento costituzionale (se non indirettamente). La questione dell’insegnamento religioso non venne più ripresa se non per accenni sporadici nel dibattito sul progetto dedicato ai rapporti etico-sociali in cui si collocavano gli articoli dedicati alla scuola (artt. 33 e 34) che furono approvati definitivamente il 29 e 30 aprile 1947: art. 33: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione e istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a
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quello di alunni delle scuola statali. È prescritto un esame di stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università e accademie, hanno diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.” art. 34 “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze che devono essere attribuite per concorso.” Vinse la volontà di evitare rotture col passato, probabilmente sulla base di un’oggettiva continuità con i decenni precedenti, specie in riferimento al rispetto di quelle strutture (famiglia e Chiesa) che meglio rappresentavano il Paese nella vita quotidiana. Questa volontà fu propria non solo dei conservatori ma anche degli innovatori, i comunisti specialmente e quei cattolici che, pur contrari ad una concezione di Chiesa come cemento ideologico della conservazione, condividevano la prioritaria preoccupazione dei comunisti di non incrinare le possibilità di un’azione solidale e unitaria di tutte le forze comunque interessate ad uno sviluppo del progresso sociale ed erano perciò forse incapaci di mettere realmente in discussione le concezioni, le idee, gli atteggiamenti dell’istituzione ecclesiastica. Non mancarono voci di dissenso, una su tutte, quella di Pietro Calamandrei che aveva sottolineato il contrasto fra l’art. 36 del Concordato e l’art. 33 della Costituzione. La risposta non si fece attendere e arrivò dallo stesso Dossetti, secondo il quale l’impegno assunto dallo Stato con l’art. 36 si era concretato “in una disciplina che assicura un modesto orario settimanale di istruzione catechistica nelle scuole elementari e medie, senza che questa implichi nessuna limitazione e nessun influsso (neppure indiretto), per gli altri insegnamenti e nessuna costruzione per coloro che non desiderano ricevere l’insegnamento religioso”. Assestati i principi, ora occorreva mettere mano ai nuovi programmi di insegnamento.
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ART. 24 CCNL 2016 COMUNITÀ EDUCANTE
la scuola è una comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i princìpi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata dall’ONU il 20 novembre 1989, e con i princìpi generali dell’ordinamento
INSEGNAMENTO E DIDATTICA ALL'EPOCA DEL COVID-19
di DILETTA DE LAURENTIIS docente nella scuola dell'Infanzia
Il Covid-19, è tristemente noto, ha prepotentemente cambiato vite e abitudini di tutti e uno dei settori più violentemente toccati da questa pandemia è stato sicuramente il comparto scuola. Il sistema scolastico ha cercato di rispondere alla nuova situazione attraverso la didattica a distanza (DAD), con contenuti multimediali, webinar di formazione per i docenti e piattaforme certificate per le videoconferenze. Ma i problemi non mancano. A partire da quelli relativi all’accesso stesso alle nuove tecnologie; Di questo e molto altro abbiamo parlato con Giuliana Di Toro, insegnante trentennale della scuola dell’infanzia nell’Istituto comprensivo “Umberto I” e referente del plesso “Ina Cappuccini” di Lanciano. Come dice Alessandro D'Avenia, scrittore e docente, "le scuole hanno chiuso ma la scuola non ha chiuso”: la sospensione delle lezioni frontali infatti, non ha significato la sospensione delle lezioni in generale, insegnanti e alunni di tutti i gradi di istruzione hanno avuto la possibilità di concludere i programmi ministeriali ma con le difficoltà ad oggi ormai note. Non ci si è però mai davvero soffermati, a mio avviso, nel riflettere sulle difficoltà provate dalle insegnanti della scuola dell’infanzia e inevitabilmente dai piccoli alunni compresi nella fascia d’età che va dai 3 ai 6 anni che, seppur raggiunti come gli altri dalla Dad, hanno vissuto la novità con maggiori difficoltà anche solo e semplicemente legate all’impossibilità di essere autonomi nell’uso dei dispositivi elettronici. Di qui la nostra intervista con la maestra Di Toro.1) Innanzitutto grazie maestra Giuliana per la disponibilità. Vorrei innanzitutto capire come, gli insegnanti della scuola dell’infanzia, siano riusciti a reinventare la didattica durante la fase del lockdown. Il periodo del lockdown è stato molto duro sia per noi insegnanti che per i nostri piccoli alunni. Per comunicare con i bambini abbiamo usato lo smartphone con l’applicativo WhatsApp. Abbiamo caricato attività, esperienze, filmati, immagini. Attraverso messaggi vocali abbiamo soprattutto curato l’aspetto affettivo ed emotivo cercando di ristabilire una la vicinanza affettiva, fondamentale per ogni bambino per colmare il vuoto relazionale della comunità/scuola.  2) Qual è stata la difficoltà maggiore per la scuola dell’infanzia? La scuola dell’infanzia è caratterizzata dal fare esperienze e gli apprendimenti si basano essenzialmente sul fare: toccare, vedere, manipolare, osservare, sperimentare… A questo proposito, e non a caso, nei programmi ministeriali della scuola dell’infanzia non si parla di discipline ma di campi di esperienze: un campo cioè dove il bambino trova la possibilità di sperimentare, tassello fondamentale per poter apprendere e crescere. Da questa premessa si può comprendere come sia stato difficile coinvolgere i bambini con attività essenzialmente teoriche e veicolate dagli adulti/genitori: i bambini si sono ritrovati a vivere da soli a
IN DIALOGO


condividere con il gruppo classe e con l’intera comunità scolastica. Il non essere in presenza condiziona gli apprendimenti perché manca il contatto diretto con l’insegnante e l’attività si riduce alla mera esecuzione del compito senza il vissuto e la partecipazione attiva di ogni bambino.3) Avete dovuto ripensare gli obiettivi prefissati per le varie fasce di età? Sì, abbiamo dovuto rimodulare e ripensare la nostra progettazione in quanto avevamo un Progetto basato su attività laboratoriali con il coinvolgimento di esperti ed uscite didattiche sul territorio. Per la DAD abbiamo pensato ad attività legate alle emozioni vissute in quel momento storico, ad osservazioni, esperienze e giochi da vivere insieme alle famiglie oltre ad attività con schede operative. Sono state proposte in generale attività essenzialmente esecutive.4) Purtroppo nella scuola dell’infanzia non sono previsti dispositivi sanitari per i piccoli alunni, quali sono le vostre difficoltà oggi legate quotidianità vissuta in classe? I bambini della fascia d’età della scuola dell’infanzia non indossano i dispositivi sanitari previsti per il contenimento della pandemia e non riescono ad attenersi al distanziamento. Con i bambini abbiamo parlato delle norme di convivenza ai tempi del Covid-19, conoscono tali regole, tutti i bambini le sanno, ma purtroppo poi all’interno della vita relazionale non riescono ad applicarle, hanno bisogno si stare insieme, toccarsi, abbracciarsi. L’unico mezzo che noi adulti abbiamo è quello di applicare norme di sicurezza personali (mascherina, visiera, camici, ripetuta sanificazione delle mani) e ambientali (sanificazione degli spazi, degli oggetti e frequente ricambio d’aria). Inoltre abbiamo attivato una sorta di “autoisolamento per gruppo sezione” con lo scopo di prevenire e circoscrivere eventuali contagi e in ogni classe, il bambino utilizza il proprio materiale per evitare l’accesso giornaliero di oggetti esterni alla scuola.5) Quale potrebbe essere la preoccupazione maggiore per un nuovo lockdown? La preoccupazione maggiore è il ritornare a comunicare con i nostri bambini dietro un dispositivo elettronico, pur avendo attivato ed utilizzato Classroom, la difficoltà sarebbe la stessa: senza contatto fisico, necessario e fondamentale per veicolare gli apprendimenti nella fascia di età compresa tra i 3 e i 6 anni, non si permetterebbe loro di mettere in pratica l’apprendimento, di renderlo proprio. Inoltre il lockdown farebbe riemergere il malessere psicologico dovuto all’isolamento e all’essenza di contatto con il gruppo bambini.6) Per concludere questa intervista, mi piacerebbe porle una domanda più personale ovvero: come l’ha cambiata questa pandemia nel suo lavoro e nel ruolo? Ho sicuramente incrementato le mie competenze tecnologiche, come d’altronde è successo a molti colleghi, ma per fortuna non ha cambiato il mio approccio al lavoro né il mio ruolo. Ritengo che quest’ultimo possa esplicarsi a pieno solo in un contesto di vicinanza, in tal modo può instaurarsi un rapporto di fiducia reciproca che è fondamentale per fare in modo che la didattica sia efficace per la formazione dei bambini.
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ART. 24 CCNL 2016 COMUNITÀ EDUCANTE
la scuola è una comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i princìpi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata dall’ONU il 20 novembre 1989, e con i princìpi generali dell’ordinamento
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prof. don Alberto CozziDirettore I.S.S.R.  Aggregato Facoltà di Teologia di Milano
di PAOLO BELLINTANI docente nella scuola secondaria di II grado
Ho rivolto varie domande ad alcuni dei responsabili degli ISSR sparsi per il nostro Paese, per avere una panoramica sui curricola, sulle varie specializzazioni in atto in questi ultimi anni e sugli studenti che li frequentano. A rispondere in questo numero è il preside dell’ISSR e vice-preside della Facoltà Teologica di Milano, il ch.mo prof. don Alberto Cozzi.
INTERVISTA
1) Don Alberto quali sono, dalla tua esperienza, le ragioni per cui un giovane appena diplomato può ragionevolmente iscriversi all'ISSR ?Rispondo sinteticamente. Non è facile dire quali motivi dovrebbero o potrebbero spingere un giovane dedicarsi allo studio in un ISSR. La scelta non è separabile dal desiderio di insegnare religione ma neppure dall’esigenza di approfondire la propria fede. Di certo non possono mancare tre ingredienti: una certa passione educativa, ossia il desiderio di comunicare ad altri conoscenze vere, di introdurli al senso della realtà, passione unita – ed è il secondo ingrediente –  all’intuizione che l’esperienza religiosa rimane ancora uno strumento importante per introdurre l’uomo al vero senso delle cose e della vita; non riesco a immaginare un insegnante di religione ateo… è come pensare a un insegnante di lettere che non ama la poesia o resta indifferente a una bella pièce teatrale o non sopporta i romanzi… ci deve essere l’intuizione che quel modo di leggere la vita è generatore di umanità autentica; in terzo luogo ci vuole una spinta, una testimonianza o un appello coinvolgente che lanci nel cammino come percorso per acquisire una competenza in vista di una missione, di un impegno a favore della cultura e quindi della società. Qui conta molto l’esempio di un insegnante di religione o l’appello del prete o di un testimone qualificato dell’esperienza credente. La difficoltà maggiore che ostacola l’assunzione di questo percorso è la disistima culturale per l’esperienza religiosa e per il sapere che l’accompagna, una disistima molto diffusa nel contesto giovanile. Ci vuole la percezione della necessità di fare sul serio con la vita e con la realtà.


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2) I titoli rilasciati dall'ISSR come possono oggi essere spesi nell'ambito lavorativo ? Che riconoscibilità c'è           di questi titoli nell'ordinamento italiano ed europeo/internazionale ? 2)    Il titolo in Scienze religiose è ad oggi riconosciuto dallo Sato italiano come titolo universitario. Gli studi all’ISSR sono studi di livello universitario, con crediti formativi omologabili ai corsi di altre università e in parte sovrapponibili ad altre competenze. Attendiamo però dal MIUR indicazioni più precise su quale tipo di laurea rappresenta, quale ambito del sapere ricopre come titolo, anche in vista della partecipazione a qualche concorso: laurea in filosofia, in scienze dell’educazione, in psicologia...Il MIUR si è impegnato a dare una risposta a breve. In base al processo di Bologna, a cui partecipa il Vaticano, i titoli in scienze religiose e in teologia sono a tutti gli effetti lauree universitarie. Nel mondo tedesco e anglosassone hanno una loro identità e dignità e corrispondono a competenze universitarie riconosciute. Esistono nelle università statali corsi di teologia e/o di scienze delle religioni che abilitano a vari mestieri (come il ruolo di pastori in comunità religiose o docenti di religione o altro…). Anche in Spagna si è giunti al riconoscimento.3) Perchè privilegiare l'iscrizione all'ISSR piuttosto che alla facoltà di Teologia ? Cosa contraddistingue lo    studio delle Scienze Religiose ? 3)    Gli ISSR nascono come formazione di una conoscenza critica della tradizione cristiana da mettere a confronto con le scienze delle religioni e quindi con altre ermeneutiche del fatto religioso (psicologia sociologia, filosofia) e con altre religioni (introduzione all’islam, all’ebraismo…). Invece le Facoltà teologiche vogliono formare teologi, esperti del sapere critico proprio della fede cristiana e quindi dedicati al logos della fede. In tal senso chiede di sapere ebraico, greco e latino, per leggere direttamente le fonti della fede e del sapere derivato (tradizione) a partire dai testi rivelati. Invece l’ISSR si pensa più proiettato nel confronto col pluralismo religioso che caratterizza le nostre società. Di fatto, nella sistemazione del nostro piano di studi, abbiamo deciso a Milano di condividere nel triennio uno studio esteso del sapere critico della fede come via per provare un percorso di conoscenza critica e ragionevole dell’esperienza religiosa cristiana a cui appartiene la nostra storia, per specializzarsi nel biennio in un confronto con altre ermeneutiche del religioso e altre religioni. E’ chiaro che il mutamento epocale che viviamo chiederebbe di rivedere lo spazio dato allo studio delle religioni e alla fenomenologia del religioso, dotandosi di nuovi approcci al fenomeno religioso in base all’organizzazione del sapere di livello universitario (antropologia culturale, studio dei sistemi simbolici, nesso arte e esperienza religiosa, archeologia e storia delle religioni…). Lo strumento di accesso al fenomeno religioso non può essere più semplicemente un certo tipo di razionalità teologica (intracristiana) o una certa filosofia (occidentale)… come dice la nozione tutta nostra di “religione”. Ma si tratta di una sfida culturale di vasta portata, che lasciamo alle giovani e promettenti generazioni.4) L'ISSR di Milano, fondato nel 1961 dall' arcivescovo cardinale G.B.Montini, si avvia a festeggiare il 60° anno di attività. Quali sono i suoi punti di forza ? 4)    L’ISSR di Milano ha una lunga storia, molto istruttiva, fatta di tante variazioni di piano di studio, di coinvolgimento di docenti e competenze, di numero di alunni… Non è qui il luogo per rileggerla, ma certo è stata una storia ricca e travagliata. Oggi la risorsa più bella è quella di avere un gruppo di docenti appassionati e qualificati, che possano offrire un percorso formativo all’altezza della sfida dei tempi. E’ un sogni di molti ISSR: avere non solo un forte indirizzo pedagogico-didattico finalizzato all’IRC, ma anche indirizzi pastorali ministeriali, artistico-culturali o di cura spirituale del malato che possano formare competenze religioso-spirituali capaci di assumere compiti in vari ambiti di impegno nel nostro contesto pluralista: si pensi alla mediazione culturale e religiosa di altre etnie e religioni presenti sul territorio, all’accompagnamento di malati di altre religioni, al discernimento dei nuovi fenomeni religiosi (sette, magia…). Resta prezioso il servizio a tanti uditori di tutte le età che con passione ammirevole chiedono di approfondire la propria fede o tradizione religiosa. Ma bisogna dotarsi di strumenti per fronteggiare nuove sfide legate alla nostra cultura.
2) I titoli rilasciati dall'ISSR come possono oggi essere spesi nell'ambito lavorativo ? Che riconoscibilità c'è           di questi titoli nell'ordinamento italiano ed europeo/internazionale ?Il titolo in Scienze religiose è ad oggi riconosciuto dallo Sato italiano come titolo universitario. Gli studi all’ISSR sono studi di livello universitario, con crediti formativi omologabili ai corsi di altre università e in parte sovrapponibili ad altre competenze. Attendiamo però dal MIUR indicazioni più precise su quale tipo di laurea rappresenta, quale ambito del sapere ricopre come titolo, anche in vista della partecipazione a qualche concorso: laurea in filosofia, in scienze dell’educazione, in psicologia...Il MIUR si è impegnato a dare una risposta a breve. In base al processo di Bologna, a cui partecipa il Vaticano, i titoli in scienze religiose e in teologia sono a tutti gli effetti lauree universitarie. Nel mondo tedesco e anglosassone hanno una loro identità e dignità e corrispondono a competenze universitarie riconosciute. Esistono nelle università statali corsi di teologia e/o di scienze delle religioni che abilitano a vari mestieri (come il ruolo di pastori in comunità religiose o docenti di religione o altro…). Anche in Spagna si è giunti al riconoscimento.3) Perchè privilegiare l'iscrizione all'ISSR piuttosto che alla facoltà di Teologia ? Cosa contraddistingue lo    studio delle Scienze Religiose ?Gli ISSR nascono come formazione di una conoscenza critica della tradizione cristiana da mettere a confronto con le scienze delle religioni e quindi con altre ermeneutiche del fatto religioso (psicologia sociologia, filosofia) e con altre religioni (introduzione all’islam, all’ebraismo…). Invece le Facoltà teologiche vogliono formare teologi, esperti del sapere critico proprio della fede cristiana e quindi dedicati al logos della fede. In tal senso chiede di sapere ebraico, greco e latino, per leggere direttamente le fonti della fede e del sapere derivato (tradizione) a partire dai testi rivelati. Invece l’ISSR si pensa più proiettato nel confronto col pluralismo religioso che caratterizza le nostre società. Di fatto, nella sistemazione del nostro piano di studi, abbiamo deciso a Milano di condividere nel triennio uno studio esteso del sapere critico della fede come via per provare un percorso di conoscenza critica e ragionevole dell’esperienza religiosa cristiana a cui appartiene la nostra storia, per specializzarsi nel biennio in un confronto con altre ermeneutiche del religioso e altre religioni. E’ chiaro che il mutamento epocale che viviamo chiederebbe di rivedere lo spazio dato allo studio delle religioni e alla fenomenologia del religioso, dotandosi di nuovi approcci al fenomeno religioso in base all’organizzazione del sapere di livello universitario (antropologia culturale, studio dei sistemi simbolici, nesso arte e esperienza religiosa, archeologia e storia delle religioni…). Lo strumento di accesso al fenomeno religioso non può essere più semplicemente un certo tipo di razionalità teologica (intracristiana) o una certa filosofia (occidentale)… come dice la nozione tutta nostra di “religione”. Ma si tratta di una sfida culturale di vasta portata, che lasciamo alle giovani  e promettenti


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2) I titoli rilasciati dall'ISSR come possono oggi essere spesi nell'ambito lavorativo ? Che riconoscibilità c'è           di questi titoli nell'ordinamento italiano ed europeo/internazionale ? 2)    Il titolo in Scienze religiose è ad oggi riconosciuto dallo Sato italiano come titolo universitario. Gli studi all’ISSR sono studi di livello universitario, con crediti formativi omologabili ai corsi di altre università e in parte sovrapponibili ad altre competenze. Attendiamo però dal MIUR indicazioni più precise su quale tipo di laurea rappresenta, quale ambito del sapere ricopre come titolo, anche in vista della partecipazione a qualche concorso: laurea in filosofia, in scienze dell’educazione, in psicologia...Il MIUR si è impegnato a dare una risposta a breve. In base al processo di Bologna, a cui partecipa il Vaticano, i titoli in scienze religiose e in teologia sono a tutti gli effetti lauree universitarie. Nel mondo tedesco e anglosassone hanno una loro identità e dignità e corrispondono a competenze universitarie riconosciute. Esistono nelle università statali corsi di teologia e/o di scienze delle religioni che abilitano a vari mestieri (come il ruolo di pastori in comunità religiose o docenti di religione o altro…). Anche in Spagna si è giunti al riconoscimento.3) Perchè privilegiare l'iscrizione all'ISSR piuttosto che alla facoltà di Teologia ? Cosa contraddistingue lo    studio delle Scienze Religiose ? 3)    Gli ISSR nascono come formazione di una conoscenza critica della tradizione cristiana da mettere a confronto con le scienze delle religioni e quindi con altre ermeneutiche del fatto religioso (psicologia sociologia, filosofia) e con altre religioni (introduzione all’islam, all’ebraismo…). Invece le Facoltà teologiche vogliono formare teologi, esperti del sapere critico proprio della fede cristiana e quindi dedicati al logos della fede. In tal senso chiede di sapere ebraico, greco e latino, per leggere direttamente le fonti della fede e del sapere derivato (tradizione) a partire dai testi rivelati. Invece l’ISSR si pensa più proiettato nel confronto col pluralismo religioso che caratterizza le nostre società. Di fatto, nella sistemazione del nostro piano di studi, abbiamo deciso a Milano di condividere nel triennio uno studio esteso del sapere critico della fede come via per provare un percorso di conoscenza critica e ragionevole dell’esperienza religiosa cristiana a cui appartiene la nostra storia, per specializzarsi nel biennio in un confronto con altre ermeneutiche del religioso e altre religioni. E’ chiaro che il mutamento epocale che viviamo chiederebbe di rivedere lo spazio dato allo studio delle religioni e alla fenomenologia del religioso, dotandosi di nuovi approcci al fenomeno religioso in base all’organizzazione del sapere di livello universitario (antropologia culturale, studio dei sistemi simbolici, nesso arte e esperienza religiosa, archeologia e storia delle religioni…). Lo strumento di accesso al fenomeno religioso non può essere più semplicemente un certo tipo di razionalità teologica (intracristiana) o una certa filosofia (occidentale)… come dice la nozione tutta nostra di “religione”. Ma si tratta di una sfida culturale di vasta portata, che lasciamo alle giovani e promettenti generazioni.4) L'ISSR di Milano, fondato nel 1961 dall' arcivescovo cardinale G.B.Montini, si avvia a festeggiare il 60° anno di attività. Quali sono i suoi punti di forza ? 4)    L’ISSR di Milano ha una lunga storia, molto istruttiva, fatta di tante variazioni di piano di studio, di coinvolgimento di docenti e competenze, di numero di alunni… Non è qui il luogo per rileggerla, ma certo è stata una storia ricca e travagliata. Oggi la risorsa più bella è quella di avere un gruppo di docenti appassionati e qualificati, che possano offrire un percorso formativo all’altezza della sfida dei tempi. E’ un sogni di molti ISSR: avere non solo un forte indirizzo pedagogico-didattico finalizzato all’IRC, ma anche indirizzi pastorali ministeriali, artistico-culturali o di cura spirituale del malato che possano formare competenze religioso-spirituali capaci di assumere compiti in vari ambiti di impegno nel nostro contesto pluralista: si pensi alla mediazione culturale e religiosa di altre etnie e religioni presenti sul territorio, all’accompagnamento di malati di altre religioni, al discernimento dei nuovi fenomeni religiosi (sette, magia…). Resta prezioso il servizio a tanti uditori di tutte le età che con passione ammirevole chiedono di approfondire la propria fede o tradizione religiosa. Ma bisogna dotarsi di strumenti per fronteggiare nuove sfide legate alla nostra cultura.
generazioni.4) L'ISSR di Milano, fondato nel 1961 dall' arcivescovo cardinale G.B.Montini, si avvia a festeggiare il 60° anno di attività. Quali sono i suoi punti di forza ? 4)    L’ISSR di Milano ha una lunga storia, molto istruttiva, fatta di tante variazioni di piano di studio, di coinvolgimento di docenti e competenze, di numero di alunni… Non è qui il luogo per rileggerla, ma certo è stata una storia ricca e travagliata. Oggi la risorsa più bella è quella di avere un gruppo di docenti appassionati e qualificati, che possano offrire un percorso formativo all’altezza della sfida dei tempi. E’ un sogni di molti ISSR: avere non solo un forte indirizzo pedagogico-didattico finalizzato all’IRC, ma anche indirizzi pastorali ministeriali, artistico-culturali o di cura spirituale del malato che possano formare competenze religioso-spirituali capaci di assumere compiti in vari ambiti di impegno nel nostro contesto pluralista: si pensi alla mediazione culturale e religiosa di altre etnie e religioni presenti sul territorio, all’accompagnamento di malati di altre religioni, al discernimento dei nuovi fenomeni religiosi (sette, magia…). Resta prezioso il servizio a tanti uditori di tutte le età che con passione ammirevole chiedono di approfondire la propria fede o tradizione religiosa. Ma bisogna dotarsi di strumenti per fronteggiare nuove sfide legate alla nostra cultura.


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DaD e DDI: non è tutto da buttare!
di GIUSEPPE ESPOSITO docente nella scuola secondaria di II grado
RIFLESSIONI
È quasi trascorso un anno da quando, improvvisamente e forzatamente, la scuola ha dovuto mettersi in gioco con la realtà telematica. Nessuno di noi, dal Ministero agli studenti, era pronto a questa nuova sfida. Eppure, tra sacrifici e impegni da parte di tutti, si è riuscito a garantire il diritto allo studio, previsto dalla nostra carta costituzionale, sebbene, a causa di varie problematiche, non si è raggiunti il 100% degli studenti. Tuttavia, c’è da apprezzare che in tutto questo periodo, docenti e studenti hanno risposto prontamente a questa nuova sfida. Diverse sono le correnti di pensiero che cercano di smontare e scartare questo nuovo scenario scolastico in modalità remota. È doveroso richiamare che la necessità di fronteggiare la scuola in presenza non è un’organizzazione semplice. La DaD e la DDI garantiscono un abbassamento notevole della popolazione studentesca che si serve del trasporto pubblico e della frequenza di luoghi e attività commerciali pubbliche. Tutto ciò a tutela della salute di una gran numero di cittadini italiani. Infine, è stato una sfida che ha obbligato studenti e docenti ad allargare le proprie competenze digitali. Questo nuovo scenario chiede sicuramente un impegno di tempo notevole, come ad esempio preparare un’attività in DaD o DDI, così come per gli studenti richieda necessariamente un tempo maggiore da dedicare allo studio personale.  Favorire il rientro in presenza ad oggi risulta ancora molto rischioso. La realtà in strada dei nostri ragazzi, di cui purtroppo una gran parte non riesce tuttora a mostrate maturità sufficiente a garantire il distanziamento di sicurezza, è molto preoccupante. Scene di quotidiana osservazione sono i gruppetti assembrati fuori dai cancelli scolastici senza mascherina mentre fumano una sigaretta, e purtroppo in taluni casi condividendola. Così come anche la bottiglietta d’acqua per il compagno che ha sete o un caffè sorseggiato dallo stesso bicchierino. Così come lo studente in treno che viaggia sprovvisto di mascherina. Purtroppo, questa realtà non viene messa in luce dalle cronache quotidiane, ma è osservabile pubblicamente per le strade delle nostre città. L’aspetto maggiormente messo in discussione è la relazione dei nostri ragazzi. Ma buone pratiche relazionali, anche se espresse in modalità a distanza, potrebbero assolvere in minima parte rilanciando una dimensione maggiormente antropologica che metta la persona al centro anche se rinchiusa in un monitor. Abbiamo anche visto nei mesi scorsi gruppetti di studenti, che hanno voluto manifestare il loro dissenso alla modalità a distanza, presenziando fuori dagli edifici scolastici. Questa forma di protesta, sebbene da un lato esprime la libertà di pensiero, dall’altro lato ci impone di porci una serie di interrogativi. Questi studenti per giungere a scuola hanno necessariamente effettuato una serie di spostamenti tra bus di linea, treni e metropolitane. È stata garantita la salute in questi spostamenti? La chiusura delle scuola non era forse ordinata per ridurre l’affluenza ai mezzi di trasporto? Stare al freddo fuori al proprio istituto con una linea internet da cellulare, poco stabile,Continua a pagina 15


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Dalla DAD alla DDI: un anno dopo
di ANDREA ROBERT docente nella scuola secondaria di II grado
Domenica 23 febbraio 2020, ore 12: esco dalla chiesa dopo la messa e mi fermo a parlare col solito gruppetto di persone. È lì che arriva la notizia: scuole chiuse per qualche giorno, il virus ormai è arrivato e fa paura. Di pomeriggio facciamo lo stesso la sfilata di Carnevale con l’oratorio confinante: i vigili ci hanno dato il via libera, non è un problema se i numeri rimangono contenuti. Cose che sembrano così lontane se calate nella realtà di oggi… Ogni tanto, quando mi capitano sottomano delle foto degli anni passati, ho una reazione inconscia se vedo due persone vicine senza mascherina. L’ultimo anno ha segnato un vero e proprio cambio di paradigma nelle nostre vite e questo vale anche per l’aspetto scolastico. Eppure, dopo un anno, siamo ancora qua. Scrivere un articolo come questo non è facile per più motivi: le cose da dire sarebbero tantissime e manca lo spazio; correrei il rischio di ripetere cose che ormai sentiamo da mesi; sarei sicuramente polemico e la polemica fine a se stessa non porta a nulla. E poi, parliamoci chiaro: dopo un anno di DaD o DDI che dir si voglia, ha ancora senso abbozzare una riflessione su queste cose? Non credo. Veniamo da mesi di incontri con esperti che hanno colto al volo l’occasione per parlarci dell’importanza della relazione e penso che ormai siamo anche un po’ stufi di continuare a sentire le stesse cose. Eppure, dopo dodici mesi, la domanda d’obbligo è una: cosa è cambiato dopo un anno di discorsi e proclami? Ben poco, credo, e al tempo stesso è cambiato tutto. È cambiato poco perché siamo ancora qui a parlare di problemi legati ai trasporti, di connessioni internet ballerine, di studenti che hanno mille difficoltà a seguire le lezioni a distanza e di tutte queste cose. Ciò che doveva essere una soluzione di emergenza è diventata la normalità e la scuola si è digitalizzata nel modo sbagliato. E, al tempo stesso, è cambiato tutto: ci siamo resi conto dell’importanza della relazione educativa, della prossimità fisica, del valore di uno sguardo o di un sorriso. Ci siamo resi conto (e se ne sono resi conto anche gli studenti) del fatto che la scuola sia innanzitutto una comunità, una specie di seconda famiglia allargata. Ci siamo resi conto che la scuola è anche andare a prendere la merendina alla macchinetta, scambiarsi un sorriso col compagno di banco, provare a parlare con la persona dall’altra parte dell’aula senza farsi beccare dall’insegnante. Ci siamo resi conto che la scuola è vita, ma non in senso metaforico o retorico o sognante: è vita perché chiede di mettersi in gioco, noi e loro; chiede di entrare in una dinamica difficilissima, quella della fiducia, che va conquistata sul campo. La scuola non è e non può essere “a distanza”: non può essere ridotta all’aspetto contenutistico, all’imparare qualcosa per poi ripeterlo per avere il voto a registro. Una mia alunna – brillante – qualche settimana fa mi ha scritto queste parole: «stiamo facendo argomenti che non capisco a distanza, dopo ogni lezione non ho capito nulla e devo rivedere tutto da sola… a quale scopo? Non è scuola». Sono parole fortissime e decisamente lucide, pongono un interrogativo che non può essere evitato: che senso ha tutto questo? Quale è stato il senso dell’ultimo anno di scuola? Quali cose importanti ha dato la scuola per la mia vita? -------->


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Perché se è sopravvissuto solo l’aspetto nozionistico, se la priorità della scuola è stata quella di finire il programma e assicurarsi il voto a registro mi spiace ma abbiamo fallito. Non sto facendo di tutta l’erba un fascio. Sto solo dicendo – casomai ci fosse ancora bisogno di dirlo – che la didattica a distanza è una soluzione di emergenza che doveva essere temporanea. Non ce l’abbiamo fatta: probabilmente le priorità erano altre. Dopo un anno, però, gli studenti hanno il diritto di chiedere alla scuola di poter tornare a essere se stessa…
Continua da pagina 13 può essere letta come una prassi diligente in sostituzione di seguire da casa al caldo e magari con la fibra senza alcun rischio di contagio? In questo caso specifico si è alzato il rischio di contagio tra studenti e lavoratori pendolari? Che lettura può essere fatta trasversalmente nell’ottica di esercizio della democrazia civica, proprio quest’anno che si è introdotta la disciplina Ed. Civica? Questo primo gruppo di domande, e le seguenti, dovranno metterci nella condizione di chiedersi, e col tempo, riflettere e darsi risposte. Abbiamo imparato tanto, noi docenti e anche i nostri ragazzi, sforziamoci di non buttare tutto all’aria, cercando di salvare le buone esperienze e pratiche maturate durante la DaD o la DDI, che sicuramente ci traghetteranno verso una scuola maggiormente digitale e forse riusciremo a recuperare anche quella tenerezza di umanità che forse prima della pandemia si era un po’ smarrita. Concludiamo con un secondo gruppo di interrogativi a cui il tempo permetterà di rispondere. Sarà interessante apprendere cosa ne pensano gli insegnanti e gli studenti? Queste tecniche sono un valore in sé? Sono strumenti neutrali, o questo postulato è aprioristico? Cosa può promuovere l'apprendimento e cosa può promuovere la conoscenza? Forse c'è identità tra apprendimento e conoscenza? In che senso DaD e DDI possono innovare? Quale potrebbe essere l'idea di innovazione? Se partiamo dal fatto che i giovanissimi usano gli “strumenti” forse in modo acritico, come portare verso un “uso” oppure, meglio, una comprensione delle tecnologie in relazione alla parola? Quali reciproci vantaggi? E via di questo passo, aprendo spazi, prospettive, “ri-pensamenti”. Che forse la scuola sia da ri-pensare? Che forse negli ultimi decenni le tante riforme non siano ancora state digerite e già si pensa a una nuova riforma scolastica, con maggior attenzione al contesto digitale che abbiamo scoperto? Sembra che le tecnologie siano e debbano essere un dato di fatto e di partenza, ma è così? E quali relazioni tra tecnologie e intelligenza artificiale? Insomma, sono solo espansione della macchina per scrivere, o radicalmente altro?


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Noi Irc in attesa di Buone notizie di MARIELLA POMPEI docente nella Scuola Secondaria di Primo Grado
A dicembre del 2020, la Nuova Intesa tra la Cei e la Ministra dell’Istruzione Azzolina ha destato non poche preoccupazioni nel mondo della scuola, in modo particolare per gli Irc. Ansie, timori, per tutti quegli insegnanti che da anni lavorano da precari “storici”, quasi dimenticati da tutti, dimenticati anche nel precedente Decreto Scuola. In un momento così particolare, in cui la situazione pandemica rende tutto incerto, non ci si aspettava una tale notizia di un probabile Bando di Concorso, in modo particolare per tutti quegli insegnanti che già lavorano nel mondo della scuola da oltre 36 mesi, anzi qualcuno da oltre 5, 10, 15, 18 anni. Si, sono tutti questi anni, perché l’ultimo, ma anche il primo concorso per gli Irc risale a ben 17 anni or sono, e molti di quegli insegnanti che hanno superato i 18 anni di insegnamento, allora non poterono partecipare perché non avevano i criteri per poter partecipare, quali ad i 4 anni di insegnamento, per cui chi aveva solo 2 o 3 anni di insegnamento continuativo, attende ancora oggi una stabilizzazione, che non è ancora arrivata, malgrado l’Europa abbia bacchettato l’Italia per la stipula di contratti prorogati oltre i 36 mesi, che per legge europea dovevano in automatico passare a t.i. , ma in Italia, tutto è possibile. L’idea diffusa, nel collettivo sociale è che questa Ministra non abbia avuto molta apertura con le parti sociali. La scuola è una realtà complessa, articolata, ha a che fare con l’umano, per cui quel mettersi in ascolto diventa fondamentale per la riuscita e la sinergia delle forze in campo per il bene degli alunni. La situazione storica dei precari Irc, da parte del Ministero dell’Istruzione, non è stata percepita, forse volutamente? Forse, inconsapevolmente? Il fatto sta, che per anni gli Irc hanno insegnato, riconosciuti come validi insegnanti, con competenze, professionalità, ma quando si tratta di avere riconosciuto questo ruolo  bisogna attendere 17 anni dal primo concorso e ancora attendiamo che ci sia un’altra possibilità, ma la domanda che sorge spontanea è: per chi ha insegnato tanti anni, arricchendosi sia sul campo con l’esperienza e maturando diversi corsi di formazione in questi anni, non è fuori luogo mettere sotto esame una figura già consolidata nel mondo della scuola? Non sarebbe anche più economico per lo Stato stabilizzare questi precari, come avviene per altre categorie, senza sottoporre questi lavoratori pluriennali ad ulteriori prove ed esami, che sono anche un atto poco dignitoso e rispettoso?             In tutto questo, una menzione non si può non fare alla lodevole iniziativa dei Vescovi della Lombardia, che hanno manifestato palesemente la loro vicinanza a tutti gli irc precari storici da tanto tempo.             L’auspicio degli Irc è in questo decreto mille proroghe, che possa portare quella tanto attesa stabilizzazione, quel riconoscimento dopo tanti anni d’insegnamento svolto con competenza, professionalità, retta dottrina e testimonianza , così come recita il Diritto Canonico per gli Irc. L’insegnamento della religione cattolica per troppo tempo è stata emarginata, malgrado il numero alto degli avvalentesi, in modo particolare nelle scuole dell’infanzia e della Primaria, sia un grande riconoscimento popolare. ------->
SINDACATO


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A tal proposito, come tanti colleghi fanno notare, forse anche nelle Scuole Secondarie di II Grado potremmo avere un maggior numero di avvalenti se non fosse che molto spesso questa disciplina volutamente viene inserita nelle prime ore e nelle ultime. In questo modo la scuola risparmia anche con gli insegnanti di Alternativa, suggerendo quasi l’entrata a seconda ora, o l’uscita anticipata di un’ora, e per alcuni studenti si sa, quale possa essere la scelta dettata dalla loro giovane età.       In questi mesi però, di una didattica particolare, a volte in presenza a volte sincrona in modalità online, l’Irc è stato l’insegnante che non si è fermato a quel programma ministeriale seguendo le Indicazioni Ministeriali, ma è andato oltre, cercando di carpire dietro lo sguardo degli alunni il disagio vissuto, ed è proprio in questi momenti che viene fuori la figura importante all’interno della scuola dell’Irc. L’Irc riesce a carpire dagli sguardi degli alunni, le loro inquietudini, i loro disagi, le loro ansie, che spesso se trascurati, sono segni che possono influenzare l’uomo e la donna di domani, ripercuotendosi nella loro personalità da adulti. Sì, non siamo psicologi, ma siamo pronti a capire quando finisce la nostra azione ed è necessario che intervenga una figura a questo qualificata. Ciò che non si comprende, è perché si è riconosciuti degli insegnanti competenti nell’espletare la funzione di docente per 3, 4, 5, 10, 15, 18 anni, e dopo tanti anni, in attesa di qualcosa che riconosca anche da un punto di vista lavorativo il nostro ruolo all’interno della scuola, arriva una legge che mortifica la persona, una legge diciamo poco dignitosa umanamente, nel sottoporre ad una prova del 9 l’insegnante che per decenni è stato lì, in classe con i suoi alunni ad insegnare, ma allora tutti questi anni di insegnamento, sono valsi a nulla? Per noi Irc, la Speranza è una Virtù, che dobbiamo sempre tenere accesa e viva, senza arrenderci allo sconforto e credere che anche in questo mondo istituzionale governativo della Scuola, un po' di umanità è rimasta.
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Dott.ssa Ilaria Dufour, piscoterapeuta di ELENA SANTAGOSTINIdocente nella Scuola Primaria
Dopo un anno di lockdown, è doveroso porre attenzione agli adolescenti ed alle ricadute che la pandemia ha avuto su di loro: se ne è parlato con la Dottoressa Ilaria Dufour, psicologa psicoterapeuta, coordinatore del Settore psicoterapia del Centro Benedetta d’Intino.
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INTERVISTA
1) Qual è la Sua esperienza durante l’ultimo anno, soprattutto legata al Centro Benedetta d'Intino? Nel corso dell’ultimo anno, a causa della pandemia da Covid, ho affrontato il tema dell’acuta sofferenza psicologica, in particolare nei preadolescenti e adolescenti che, senza scuola e relazione con il mondo esterno, hanno dovuto mettere in pausa la loro esistenza. La Pandemia non colpisce tutti allo stesso modo: sono più a rischio i ragazzini fragili emotivamente, con problemi neurologici, di apprendimento o chi proviene da famiglie disfunzionali con condizioni socioeconomiche educative difficili.2) Dopo quasi un anno di lockdown e di conseguente DAD per gli adolescenti, si è spontaneamente indotti a compiere delle riflessioni: quali possono essere, a Suo avviso, le ricchezze e gli aspetti positivi? Se gli effetti nefasti del lockdown sono purtroppo evidenti, è giusto interrogarsi sulle sue potenzialità trasformative: per la psicoanalisi il dolore è strumento di maturazione. L’emergenza globale è per i ragazzi un’occasione di condivisione, di impegno civile, sociale, etico. L’obiettivo è comune: proteggendosi si proteggono gli altri e anche i ragazzi devono fare la loro parte; l’attenersi alle restrizioni attiva un sano senso di responsabilità e fa sentire parte di una comunità intera. È poi un’opportunità per sperimentare la solidarietà verso le persone più fragili e per riflettere sull’impegno di chi ha speso il suo prezioso servizio negli ospedali e dei tanti volontari. La DAD poi, risorsa iniziale preziosissima per la continuità della didattica, ha dato avvio ad un utilizzo della digitalizzazione in ambito scolastico, preziosissima risorsa per gli apprendimenti. 3) Si parla molto anche delle ricadute negative e Lei ha trattato temi parecchio interessanti, quali il riaffiorare del trauma di abbandono: come lo si può declinare nel contesto attuale?    


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La pandemia ci ha messo in scacco rispetto al controllo sulla vita facendoci sentire esposti e vulnerabili: sensazioni di angoscia, di vuoto, di minaccia sono più potenti in chi ha alle spalle carenze affettive primarie o lutti. L’isolamento può riattivare antichi traumi: nei ragazzini adottati riaffiorano memorie di orfanotrofi, in quelli stranieri traumi migratori, in altri con storie difficili vissuti angoscianti di solitudine e abbandono. In generale in adolescenza si sperimentano l’ansia di crescere e di perdere i familiari: la minaccia della malattia e della morte dei genitori che il virus rende reale, quell’ansia di separazione dalle figure di riferimento. Inoltre sul virus viene proiettata la minaccia di mettersi in gioco nel mondo esterno, per cui stare riparati a casa garantisce una protezione difensiva dalla complessità della crescita.4) Un altro fenomeno allarmante è quello del cutting, aumentato nell'ultimo anno: come possiamo aiutare i nostri ragazzi? I ragazzi tendono a sfogare il loro disagio nel corpo o sul corpo: non hanno infatti quegli strumenti di elaborazione delle pressioni emotive interne che, se non pensate, trovano scarico nell’area somatica. Il silenzio della mente, che non sa dar voce e significato al disagio, rende il corpo protagonista con disturbi alimentari, impulsi autodistruttivi, somatizzazioni multiformi, conversioni isteriche, ipocondria. Gli atti autolesivi, dal cutting al tentato suicidio, sono aumentati in modo preoccupante. Il cutting è una pratica che riguarda soprattutto le ragazze, che si procurano, con lamette e rasoi, tagli e ferite, tenuti nascosti per venire solo successivamente scoperti dai genitori. E’ un segno visibile di un disagio sommerso, solo agito e non compreso, è un modo distorto di sentirsi, di cercare una sensazione forte e dolorosa per coprire il senso di vuoto profondo, è un’inconscia richiesta di aiuto. È importante che gli adulti si mettano in ascolto del malessere dei ragazzi, incoraggiandoli ad usare parole per comunicare angoscia, rabbia, malessere… Quando il disagio resta muto e il supporto della famiglia non basta, è fondamentale chiedere un aiuto psicoterapeutico.  5) In adolescenza aumentano i disturbi alimentari, come e quanto ha inciso la situazione dell'ultimo anno? Anche i disturbi dell’alimentazione sono in crescente diffusione: certi adolescenti con una fragilità narcisistica pregressa, davanti alla chiusura totale dei luoghi esterni, sono piombati in una regressione depressiva, che ostacola gli investimenti sul processo di crescita; ragazzine isolate a casa presentano restrizioni alimentari con un’attenzione ossessiva al peso. L’angoscia di fronte alla crescita e la sensazione di non farcela possono indurre a gestire il vuoto interno con un controllo ossessivo spostato sul peso del corpo in trasformazione, segnale di transito verso il mondo degli adulti sentito come persecutorio. Per questo invito a porre uno sguardo empatico ed attento ai ragazzi: la crescita psichica necessita della relazione con il mondo esterno, rappresentato in particolar modo dalla scuola, contenitore educativo, affettivo, sociale alternativo alla famiglia, essenziale non solo per imparare, ma per costruire narrazioni di sè e del mondo e per crescere verso il futuro.
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LE NOSTRE RUBRICHE ON-LINE
IN DIALOGO: la UIL scuola IRC ha incontrato: 4 febbraio: Mirko Campoli, direttore Uffici IRC del Lazio 11 febbraio: Mario Pittoni, vicepresidente VII Commissione Cultura ed Istruzione del Senato 25 febbraio: Veronica Migani, Dirigente Scolastico. 26 febbraio: Floria Frate, deputato, membro della Commissione Lavore della Camera
Agorà IRCweb il 24 febbraio prende il via la nuova rubrica di approfondimento. Il primo incontro Mariella Pompei incontra Elena Santagostini.
INIZIAMO A PARLARNEFrancesco Sica ogni settimana incontra i protagonisti della scuola e approfondisce tematiche sulla didattica.
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COMUNICAZIONI Rubrica di informazione sindacale e sulle attività della UIL scuola Irc. a cura di Monica Bergamaschi
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 VITA SINDACALE 
La riapertura del contratto integrativo sulla mobilità potrà essere l’occasione per eliminare il vincolo quinquennale di divieto di spostamento. Misura che finora ha impedito di coprire i posti disponibili (vacanti) nei territori diversi da quello in cui si è in condizione di essere stabilizzati con le graduatorie esistenti che altro non sono che concorsi per titoli e servizio – Così Pino Turi – Segretario Generale della Uil Scuola sintetizza la mancata risposta della nostra O.S. all’invito per la presentazione dell’OM sulla mobilità. La mobilità non è di solo interesse del personale docente di posto comune e di sostegno, ma riguarda anche i docenti di religione cattolica. IL Coordinatore Nazionale IRC della UIL Scuola Giuseppe Favilla afferma che tale vincolo viene applicato anche ai docenti di religione cattolica assunti lo scorso anno con decorrenza giuridica ed economica dal primo settembre 2020 a tempo indeterminato. Il vincolo quinquennale coinvolge dunque anche il personale docente di religione cattolicrecentemente immesso in ruolo, secondo la bozza dell’Ordinanza Ministeriale specifica, vista la particolare normativa concordataria a cui sono soggetti. Stando così le cose, afferma Favilla, si protrae l’ingiustizia infinita nei confronti degli idonei del concorso del 2004. Gli idonei del concorso, rimasti bloccati negli elenchi di merito per sedici lunghi anni, che, per scelte personali o familiari, abbiano deciso in questo tempo di lasciare la propria diocesi, sono stati richiamati nella diocesi di origine per poter ottenere il tanto agognato ruolo. Oggi, come prevede la modifica dell’art. 399 del Testo Unico modificato con la legge 159/2019, questi colleghi non potranno nemmeno chiedere l’Assegnazione provvisoria per il ricongiungimento al coniuge o ai figli e saranno bloccati in un luogo che potrebbero ormai aver abbandonato da oltre un decennio. Chiediamo che questa Odissea abbia fine. Solo con la riapertura del contratto di mobilità si potrà finalmente ottenere giustizia per tutti i docenti, cancellando una norma che è lesiva della dignità del lavoratore - conclude il coordinatore Favilla - Tutti hanno il diritto di poter stare vicino ai propri cari e di prendersene cura!
VINCOLO QUINQUENNALE? LA UIL SCUOLA IRC DICE NO!


Ins. Irene Carminati
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 VITA SINDACALE 
DAL SITO WWW.UILSCUOLA.IT
Concorso straordinario personale docente: il fallimento è evidente
Decisione incomprensibile. Gli effetti del DPCM del 14 gennaio 2021 scadono il prossimo 14 febbraio ed è già convocato un Consiglio dei Ministri per prorogare lo stato di emergenza al 5 marzo, sarebbe stato opportuno attendere tra qualche giorno le ulteriori decisioni governative.
Turi: esperienze Prof. Bianchi saranno spinta per cambiamento
La spinta di competenze e esperienze del profilo professionale del nuovo ministro dell’istruzione – saranno secondo il segretario Uil Scuola – fondamentali per affrontare il lavoro di rilancio del settore scolastico.
DISCORSO DRAGHI / Turi: sulla scuola centrale il richiamo alla sicurezza
Nessuna riforma annunciata, ma definizione della funzione della scuola e della formazione. Questo è un bene. Valorizzare il personale, recuperare le distanze e dare risposte ai giovani.
Esami di Stato: presupposto di tutto è la sicurezza di docenti e studenti
La soluzione messa a punto è quella che ripercorre il metodo dello scorso anno che ha dato buoni risultati.  Sarebbe sbagliato ricominciare daccapo.
Per abolire il vincolo quinquennale bastano tre giorni. A settembre Waterloo per la scuola se non ci sarà un progetto
L'INTERVISTA / Il segretario generale della Uil Scuola, Pino Turi, è intervenuto a Orizzonte Scuola Talk per parlare dell’attualità scolastica alla luce del nuovo governo.
Turi: cambio di passo e cambio di tendenza: non solo velocità ma diversa direzione.
Un cambio di clima significativo. Ritrovare un clima di fiducia è l’elemento che fa la differenza.
Nell’incontro di oggi con il neo ministro Bianchi si è aperto un dialogo
Una serie di appuntamenti per mettere a punto le questioni legate al nuovo anno scolastico (quello definito “Tavolo 1° settembre”) è il primo risultato concreto della riunione di questa mattina tra il neo ministro Bianchi e i sindacati scuola. Mobilità, organici e reclutamento saranno i temi del confronto programmato nei prossimi giorni.
Vincolo quinquennale e docenti ingabbiati: va riaperta la mobilità.
La bozza dell’ordinanza ministeriale presentata dall’amministrazione relativa alla mobilità per l’a.s. 2021/22 del personale docente, che in realtà si limita ad indicare le date di presentazione delle domande, ripropone gli stessi blocchi per i quali, già lo scorso anno la Uil Scuola aveva chiesto la riapertura del contratto.


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SCHEDE UTILI


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