7 cogliere, del radunare, del mettere insieme: e non a ca-saccio, ma selezionando e scegliendo, come sanno i col-lezionisti» (p. 3). Durante la lezione, l’insegnante è colui che è chiamato a spiegare, cioè a togliere le pieghe alle cose, ma senza togliere le piaghe alle cose, cioè il loro mistero, l’aspetto che non si può spiegare: infatti, «il sapere non si può mai sapere tutto perché - come scrive Recalcati - è per struttura bucato; vi è, in altre parole, una impossibilità di sapere tutto il sapere» (p. 5). Il sapere, perciò, ha bisogno anche di digressioni, che sono piste e non approdi. La lezione ha così un potere “fermentativo”. Rendono molto bene questo concetto le parole di Pavel Floren-skij, riportate da Zagrebelsky nella quarta di copertina del suo libro: «Una lezione non è un tram che vi porta da un posto all'altro, ma è una passeggiata con gli amici». Il docente, infine, è ancora anche colui che deve impara-re a sostare al crocevia, dove si mostrano più chiari il cammino compiuto e quello ancora da percorrere. Sa che davanti a sé non ha numeri, ma dei volti, volti che na-scondono storie. Sa far venire fuori i talenti nascosti e valutare l’apprendimento, il quale «non avviene per tra-vaso passivo da un bicchiere più pieno a uno più vuoto, perché il modello sul quale si fonda non è mai quello di un vuoto da riempire quanto di un vuoto da aprire». (Recalcati, p. 43) Tutti questi tratti dell’altra scuola permettono di prepara-re un po’ di più il docente che a settembre tornerà in classe, con la ferma consapevolezza che un’ora di lezione può salvare la vita. La scuola è davvero finita? Una riflessione. L’ “altra” scuola. Finita la scuola, ne inizia un’altra? di Margherita Cosso Docente nella scuola secondaria di II grado Come ogni anno, milioni, tra studenti e insegnanti (870 mila docenti e 7.286.151 studenti secondo i dati MIUR), hanno festeggiato il termine delle lezioni, previsto, per la maggior parte delle regioni, entro la prima decade di giugno (eccezion fatta per la provincia di Bolzano, 16 giugno, e per la Valle d’Aosta, 15 giugno, e, ovviamente, per la Scuola dell’Infan-zia che termina il 30 giugno). Come ben sappiamo, la data prescel-ta decreta solo in termini relativi la “fine” della scuola, in quanto “finita la scuola ne inizia un’al-tra”. In primo luogo per-ché hanno inizio le opera-zioni di scrutinio, le quali costituiscono delle auten-tiche prove di eccezionale resistenza, non solo per la quantità di ore impiegate, ma soprattutto per la por-tata psicologica che esse significano; in secondo luogo perché studenti e docenti delle classi termi-nali della secondaria di primo e secondo grado sono impe-gnati nello svolgimento degli esami e delle varie commissioni, che, tra pro-ve scritte e orale, li occupa fino alle prime due settimane di luglio. In ter-zo luogo e non ultimo per importan-za, perché ci si può legittimamente domandare se, con la conclusione di tutti gli impegni burocratici, si possa mettere davvero la parola “fine” all’anno scolastico, o se, al contrario, la professione docente, per sua es-senza, non continui a protrarsi anche lungo la “pausa estiva”. E qui la que-stione scivola, da un lato, su un piano propriamente esistenziale, dall’altro su un piano che potremmo chiamare “professionalizzante”. Dal punto di vista esistenziale, ogni docente si trova volens nolens a do-ver fare un “bilancio” conclusivo dell’anno trascorso che riguarda anzi-tutto un confronto con se stesso, nel tentativo di rispondere ad un venta-